Un mostro a consacrarlo re
Gli esordi con il “lungo” Vianello, lo stop imposto dalla Rai, gli amici (miei), il rapporto con Gassman. Cremona ricorda il suo contabile mancato
Il lungo e il corto si ritrovano insieme quasi per caso, nell’Italia che sognava di crescere e amava ridere, nei giorni lieti ed aspri degli anni Cinquanta. Venivano dalla palestra più vivace di quei tempi, il teatro di varietà e l’avanspettacolo. Erano assai diversi fra di loro e per questo la coppia fece scintille ( specialmente nella tv dello scapigliato Un, due, tre). Il “lungo” si chiamava Raimondo Vianello: elegante di natura, era nato a Roma da una famiglia altoborghese ( il padre era ammiraglio) e i genitori sognavano per lui una bella carriera diplomatica. Il “corto” era Ugo Tognazzi, un lombardo dal carattere estroso, uno capace di saltare dai pur fulminanti siparietti comici della scapigliata gioventù a una forte e ben strutturata carriera d’attore, come dire dalla commedia buffa al dramma da vita agra, con fiera e disinvolta finezza. Dal 24 ottobre, a Ugo la città di Cremona, in cui nacque nel 1922 e in cui rischiò di rimanere a vivere da onesto contabile in un salumificio, dedica un’affettuosa mostra ( anzi due) con video rari, foto dai set, manifesti originali e nuove locandine reinterpretate da artisti contemporanei: al centro della piazza un monumento al torrone, dolce gloria locale, prediletta dall’attore. Sono passati venticinque anni dalla sua improvvisa scomparsa, un fatale sussulto nel sonno il 27 ottobre del 1990.
Successo crescente. Il tempo è fuggito ma la memoria non si è spenta: si ricordano con dolcezza di lui gli amici, le mogli e affettuosamente gli altri, a cominciare dai figli che, sotto il suo segno, si sono dati anche loro al cinema. E i comuni spettatori discutono ancora su qual è il Tognazzi migliore: il “supercazzolaro” conte Mascetti di Amici miei, il quarantenne in amore per una “ninfetta” ( così si diceva allora) della Voglia matta ( Luciano Salce, 1962) — la commedia amara con l’acerba