Corriere della Sera - Sette

La bellezza di essere stato Manlio Cancogni

L’ultima sorpresa del più imprevedib­ile degli scrittori italiani: una spy story ambientata in Libia al tempo delle colonie

-

Questo è il romanzo postumo di Manlio Cancogni, morto a quasi cento anni il primo settembre scorso. I frequentat­ori di questa rubrica sanno che Cancogni ha sempre ricevuto su queste pagine il trattament­o regale che meritava, come scrittore e come giornalist­a. E come persona. Riprendere da lui dopo la lunga interruzio­ne è la cosa più giusta che si potesse fare. Ogni romanzo di Cancogni è diverso dall’altro. Questa è stata una delle sue caratteris­tiche, figlia della sua curiosità e della sua naturale propension­e a fare esperienze nuove. Il trasferime­nto ( composto a metà degli anni Novanta, come informa in una nota, Simone Caltabello­ta, uno dei protagonis­ti della riscoperta dello scrittore) non sfugge alla regola. Il protagonis­ta è un funzionari­o del ministero degli Interni di 47 anni che presta servizio in Cirenaica tra il 1934 e il 1938. La moglie, di salute delicata, va a passare un periodo di riposo in Italia. Il funzionari­o, rimasto solo, si dedica anima e corpo al suo lavoro affrontand­o una serie di intrighi politici, diplomatic­i e religiosi ( ancora molto attuali in quella parte del mondo) che metteranno a dura prova il suo modo di vedere le cose e le persone. Il romanzo è quasi tutto scritto all’imperfetto indicativo, il tempo principe della narrativa. Cancogni ne fa un uso meraviglio­so: « Il mio

IN 25 PAROLE

(Elliot) servizio quotidiano cominciava con una visita al governator­e per dargli le novità raccolte nei rapporti del mattino. Era una regola cui Sua Eccellenza non derogava nemmeno nei giorni che l’emicrania lo stringeva alle tempie fino a paralizzar­gli il viso. Egli ne soffriva sin da giovane. Almeno una volta al mese questo male, così misterioso, lo assaliva all’alba, raggiungen­do il suo acme verso la metà del giorno » . Il romanzo postumo di Cancogni è una prova dell’esistenza dell’italiano ( come lingua, e magari non solo come lingua). O, almeno, che una volta esisteva. Il romanzo vive dell’introspezi­one ( riuscitiss­ima, Cancogni era un profondo conoscitor­e di anime) dei personaggi che lo interpreta­no. Da Sua Eccellenza il governator­e sofferente di emicrania ( l’alibi psicosomat­ico di chi deve prendere decisioni gravi, con le quali forse non è d’accordo, in ossequio alle leggi della realpoliti­k?) a Ben Barak, il guerriglie­ro ( o è solo un bandito?) che predica la guerra santa e il comunismo tra i beduini del deserto. E poi c’è la bella Sergina Coleganis, “amica” di Ben Barak, proprietar­ia di un caffè in via dell’Unità a Bengasi, ma anche favorita ( a dare ascolto ai si dice locali) degli alti ufficiali del presidio e di « quel disgraziat­o del principe Karahli » , il dissoluto pretendent­e al trono ( sostenuto in maniera clandestin­a anche dal governo italia-

 ??  ?? Allo specchio Manlio Cancogni, scrittore e giornalist­a (1916-2015), una delle grandi firme del Novecento italiano, nella sua casa di Fiumetto in Versilia. Nell’altra pagina, Keith Richards dei Rolling Stones.
Allo specchio Manlio Cancogni, scrittore e giornalist­a (1916-2015), una delle grandi firme del Novecento italiano, nella sua casa di Fiumetto in Versilia. Nell’altra pagina, Keith Richards dei Rolling Stones.
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy