/ Walter Veltroni: «Per la prima volta ho detto ciao a mio padre in un incontro fantastico»
IncontroWalter Veltroni, ex sindaco di Roma e fondatore del Pd, nel suo appartamento romano. Quartiere Salario. Sulla parete del salotto, tra un disegno di Fellini e la foto di famiglia scattata dopo la vittoria alle Comunali del 2001, c’è lo schizzo del progetto dell’Auditorium, luogo culto del veltronismo. Il disegno glielo ha regalato Renzo Piano qualche mese fa per i suoi sessant’anni. L’età ha molto a che fare con il volume che Veltroni ha appena dato alle stampe ( Ciao, Rizzoli). Dice: « Ho sempre vissuto progettando. E a sessant’anni si fa più fatica a progettare. Invece di fare come tanti che continuano a stare in politica, io ho cominciato a girare film, rischiando di beccarmi pomodori e insulti. E ho continuato a scrivere. In quest’ultimo romanzo, cerco mio padre Vittorio » . Siamo nella stessa stanza in cui si svolge gran parte di Ciao. Ci sono cinque telecomandi su un tavolinetto. Tre librerie gonfie di dvd. Una scrivania ricoperta di carte. C’è anche la scatola d’argento con incise le firme dei colleghi Rai di Vittorio Veltroni che contiene le fiches colorate con cuiWalter giocava da piccolo. Il libro è un fantasy intimo: Veltroni immagina di incontrare suo padre, morto quando lui aveva un anno. Dalla conversazione tra i due nasce un racconto intrecciato: l’informazione Rai degli anni Cinquanta, di cui Vittorio era mattatore, e l’infanzia anni Sessanta di Walter. Le radiocronache di eventi epocali e le lotte politiche. Il padre che veniva soprannominato “volemose bene”, per l’indole pacificatrice, e il figlio gran cerimoniere del buonismo nazionale. C’è tutta la cosmogonia veltroniana e ci sono molti ricordi personalissimi dell’ex leader democratico. Il volo liberatorio, in aliante, dopo le dimissioni da segretario del Pd. Il rapporto con mamma Ivanka, le partite di calcio infinite al parco dei Daini, le molestie subite sulla Cristoforo Colombo dopo un concerto dei Rolling Stones, la conferenza di Herbert Marcuse al teatro Brancaccio di cui non capì molto, la canzone A Whiter Shade of Pale ballata con la figlia di un dirigente del Pci, sperando che nessuno passasse con la scopa per chiedere il cambio. Domando: la figlia del dirigente era l’economista Lucrezia Reichlin? Replica: « È difficile sbagliarsi. Lei era inarrivabile » . Veltroni, nel finale, costringe persino se stesso a una straziante telecronaca del funerale del padre. Quando insisto troppo con le domande su Roma, sul Pd e sulla Rai, mi stoppa: « Io non mi occupo più di politica. Questo è il libro più importante della mia vita e non voglio sporcarlo con le polemiche sull’attualità » . Gli faccio no-
« Non ho avuto un padre a cui ispirarmi e non ho mai visto un Veltroni invecchiare »