Far figli non è un dovere, ma un diritto
Non si deve procreare per forza, la società dovrebbe aiutare chi decide di mettere al mondo bimbi. Purtroppo non è così
Caro Severgnini, quando ero bambino mi capitava di sentire i miei genitori dire, riferendosi a coppie conosciute: «Poverini, non hanno figli!». Oggi aver figli è un’opzione di vita da posporre alla carriera, al successo personale, a scelte di convivenza sterili. Chi fa questo, a mio parere, è da assimilare a un evasore e a un renitente, in quanto si sottrae a un dovere, lasciando agli altri fatica e impegno. Impegno che, a livello governativo, viene impedito negando adeguato sostegno alla maternità. Tutto questo in un periodo storico che vede la società italiana andare verso un precoce generale invecchiamento, con tutte le conseguenze del caso.
Enrico Muttoni - enrico.muttoni@alce.it
Le sue certezze sarebbero ammirevoli, caro Muttoni, se non fossero allarmanti, ingiuste e ingenerose. Avere figli, o non averli, dovrebbe essere una scelta consapevole. È triste quando la scelta non c’è. C’è chi vuole figli, e non arrivano; c’è chi non li vorrebbe, e arrivano ( poi la tristezza passa, appena il neonato apre gli occhi e sorride). Certo. Chi sceglie di mettere al mondo un bimbo – “mettere al mondo”, che belle parole – va incoraggiato e aiutato. Maternità, scuola, salute, previdenza: se non pensa a queste cose, la società che fa? Quello che sta accadendo in Italia è invece sotto gli occhi di tutti: disattenzione pubblica e gioventù protratte all’infinito ( ma la fertilità non fa quello che suggerisce la pubblicità). La pratica più odiosa? Costringere le donne a rimandare la maternità. La pratica di far firmare lettere di licenziamento in bianco, da utilizzare in caso di gravidanza, è immonda. In questi mesi, causa televisione, lavoro con diverse ( bravissime!) giovani donne. A tutte ho detto cosa farei se venissero a dirmi che aspettano un bambino: un bacio, un applauso e un regalo. Oltre alla promessa di farle lavorare finché vogliono; e riprenderle quando possono.
Aiuti ai rifugiati, non regali
Il razzismo è nel Dna dei politicamente corretti. Severgnini suggerisce sul New
e sul Corrierone di regalare i terreni incolti ai migranti. Per avere qualcosa a spese della comunità, senza aver fatto niente per meritarlo, secondo lui, devi possedere un solo requisito: non devi essere di razza italiana. Punto.
Roberto Bellia [paradosso44@yahoo.it]
La sua logica è inferiore alla sua misericordia, ed è tutto dire. Non ho suggerito, signor Bellia, di « regalare i terreni incolti ai migranti » . Ho scritto: perché non chiedere ai rifugiati, in cambio dell’accoglienza, di aiutarci a mantenere il territorio italiano? Territorio che in alcune regioni ( Abruzzo, Molise, Basilicata, Sardegna) si va spopolando; e in altre parti sta crollando ( i 499 mila smottamenti censiti in Italia sono il 69% di quelli registrati in Europa!). La filiera lattiero- casearia, in Val Padana, non si regge sugli indiani? La pesca a Mazara in Sicilia non s’avvale della comunità tunisina? Tutto qui: chiedevo di ragionarci. Ma la politica non ne ha il coraggio. E nell’opinione pubblica si sentono solo quelli che strillano e che offendono; gli altri tacciono. L’alternativa? La stiamo vedendo: spingere i nuovi arrivati ai bordi delle città, e trasformarli in ghetti.
Ue senza Londra? E Londra senza Ue?
George Osborne, British Chancellor of the Exchequer, incontra il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble e dice più o meno queste parole, sem- plici e dirette: «Chiederemo ai nostri cittadini: è meglio rimanere nell’Unione Europea oppure è preferibile uscirne? I cittadini di Sua Maestà vogliono far parte dell’Unione Europea riformata, non di un Super-Stato». Cosa farà l’Italia, caro Severgnini? Appoggerà la Gran Bretagna o, come al solito, si comporterà da Pulcinella?
Michele Castorina michele.castorina@yahoo.co.uk
Se “l’Unione Europea riformata” impedisse la libera circolazione delle persone, sorry: non si può fare. L’Europa ha un destino comune, o non ha un destino: gli inglesi, che sono intelligenti, devono metterselo in testa. Un’unione doganale e commerciale andava bene nel 1975: non nel 2015, mentre il mondo ribolle. Certo, occorre trovare forme snelle di collaborazione ( e qui gli inglesi possono aiutare). L’anno prossimo, al più tardi nel 2017, è previsto nel Regno Unito il referendum sulla permanenza nella Ue. Ben venga. Speriamo che inglesi, scozzesi e gallesi decidano di restare. Un’Europa senza Londra sarebbe più chiusa e noiosa. Ma Londra, senza l’Europa, dove va? Una nuova Hong Kong? Idea bislacca. Dietro Hong Kong c’è la Cina. Dietro Londra c’è l’Europa o c’è l’Essex. Bisogna decidere, una volta per tutte, da che parte voltarsi.