Apologia di Fabio Fazio
Il conduttore di Che tempo che fa è l’unico che riesca a portare la cultura in prima serata. Eppure paga un prezzo altissimo. Anche all’invidia
C’è una cosa che vorrei dire da tempo, in difesa di Fabio Fazio. Non l’ho mai fatto per evitare che si dicesse: lo fa perché vuole andare da Fabio Fazio. Ma questo Natale mi trovo nella rilassante condizione di non avere libri in uscita di cui parlare. E l’ultimo libro è arrivato a 135 mila copie senza essere andato da Fazio. Vero è che sono stato suo ospite in passato, ma insomma non si può vivere sempre sotto il ricatto morale dei malpensanti che attribuiscono agli altri le proprie meschinità, e credo di poter essere libero di scrivere quello che penso. L’intensità e la malignità dei ricorrenti attacchi a Fazio è sorprendente. Per carità, tutti si possono criticare. Però prima bisognerebbe riconoscere che la sua è una delle rarissime trasmissioni Rai a coniugare qualità e ascolti. Tutti gli altri tentativi di portare in prima o seconda serata trasmissioni di libri, di letteratura, di storia, di cinema, di musica, insomma di cultura, sono miseramente falliti. Il punto è questo: se dici al telespettatore “brutto ignorante, sono anni che non leggi un libro, non sei mai andato a un concerto in vita tua, non sai neppure in quale anno è cominciata la seconda guerra mondiale, ora siediti che ti spiego, tu dovrai soffrire ma alla fine farò di te un uomo migliore”, il telespettatore cambia canale. Se invece gli dici, come fa da sempre Fazio — insieme con il suo autore storico, l’ex compagno di liceo Pietro Galeotti —, “stasera ci divertiamo, ci emozioniamo, ci indigniamo, ci commuoviamo, e intanto se ti va c’è questo libro, questo film, questa canzone”, allora il telespettatore si sente coinvolto. E la cultura trova quello che le manca da sempre, in particolare in Italia: un pubblico. Fabio Fazio, piaccia o no, ha un pubblico. In questi ultimi mesi sta dando meno spazio alla politica e più all’intrattenimento: all’evidenza questo il pubblico chiede. Pare che guadagni molto; buon per lui, e per il fisco; fa anche guadagnare molto alla Rai, però. Non ha torto Carlo Freccero, quando fa notare che l’editoria non può essere concepita solo in termini di tagli, ma anche di investimenti ( certo, con Varoufakis, Endemol poteva tirare un po’ sul prezzo; ma questo è un altro discorso). Non tutti i personaggi che Fazio ha lanciato forse lo meritavano. Ce ne sono alcuni che non stimo. Ma a Che tempo che fa è passato il meglio della letteratura internazionale. Ed è passato ad esempio Massimo Gramellini, forse il miglior giornalista italiano, per questo invidiatissimo dai colleghi. Ripeto: tutti si possono criticare. Ma perché il successo non disgiunto dalla qualità, anziché essere considerato un merito, deve divenire un peccato di cui farsi perdonare? Perché Bernard Pivot in Francia l’hanno portato per decenni in palmo di mano, e noi Fabio Fazio lo lapidiamo a ogni inizio stagione?