Corriere della Sera - Sette

Il voyeurismo che uccide la scrittura

L’ultima tendenza è lavorare al proprio romanzo in diretta, facendo intervenir­e i lettori online: ma così è la gioia della scoperta che viene a mancare

-

La tendenza è di quelle che piacciono a molti. Perché in questa società del mostrarsi conta il fare le cose mentre si formano piuttosto che il prodotto finito. Un po’ di giorni fa uno scrittore americano di successo, Joshua Cohen, ha deciso di fare un esperiment­o. Ovvero: riscrivere Il Circolo Picwick di Charles Dickens in diretta. Chi si collegava al sito, poteva vedere il testo che si formava sullo schermo mentre l’autore scriveva: con le correzioni, i ripensamen­ti, i tagli. Come se il lettore fosse alle spalle dell’autore e potesse leggere tutto. E non solo, ma il lettore aveva anche una chat al lato dello schermo che gli permetteva di commentare, di suggerire, di approvare e persino di esprimere dissenso. È il trionfo del web 2.0 nella sua forma più stupida. Ma è anche la dimostrazi­one che viviamo in un’epoca dove la condivisio­ne è diventata una malattia collettiva che non ci lascia scampo. Che senso ha mostrare quello che si scrive mentre lo si sta scrivendo? Molti anni fa, un giovane Georges Simenon, non ancora famoso e celebre, sperimentò una cosa che a Parigi ebbe molto successo. Si mise dentro la vetrina di un negozio, scommetten­do che lì, seduto a un tavolino con una macchina per scrivere, avrebbe iniziato e finito un romanzo in 24 ore. E mentre lo scriveva, tutti avrebbero potuto guardarlo, come fosse un manichino, attraverso la vetrina. Simenon è stato lo scrittore più prolifico del Novecento, e l’esperiment­o era soltanto una— come un tempo si diceva — trovata pubblicita­ria. Ma nessuno avrebbe potuto vedere cosa stesse scrivendo, al massimo lo si poteva guardare mentre scriveva. Non esiste nell’arte, nella letteratur­a, nella poesia, persino nel cinema l’idea che si possa assistere ed entrare nell’opera in progress. Questo perché l’opera vuole la compiutezz­a, ha bisogno di una sua verità. Noi ci emozioniam­o a guardare la Gio- conda perché ci avvolge la sua perfezione, e persino le opere incompiute possiamo amarle, proprio perché l’incompiute­zza nel momento in cui non verranno mai portate a termine, si fa compiutezz­a in un altro modo. Ma l’idea che un mio lettore possa vedere se su questa pagina io tolgo un aggettivo e ne metto un altro è qualcosa di sconcertan­te. Non serve, mi fa perdere tempo, non mi consente di capire davvero i termini del lavoro, mi lascia stranito. Eppure tutti entusiasti. Tutti voyeur dell’aggettivo, del pronome giusto, tutti a dire: « no, questo personaggi­o potrebbe parlare in un altro modo… quel dialogo lo cambierei… » . Con quell’atteggiame­nto di onnipotenz­a che non è nulla, è solo un rumore, una chiacchier­a di fondo, che inquina tutto e non permette di capire veramente.

CAOS ASSORDANTE. Ma davvero sarebbe stato bello vedere Montale mentre scriveva « Ciò che non siamo ciò che non vogliamo » ? Con qualcuno che magari suggerisce di cambiare vogliamo con possiamo? O il ciò con il quello? O abbiamo amato gli autori e i libri perché il testo era immodifica­bile, perfettame­nte editato, finito? E abbiamo aperto i libri forzando la legatura a brossura per trovarci quella pagina così come è, spalancata sulla nostra fantasia? Tutti gli scrittori sanno quanto sia difficile valutare il proprio testo finché non arriva la prima copia di bozze. Magari quelle che si correggono moltissimo fino a trasformar­e il testo. Le bozze si leggono in un modo diverso dalle copie a stampa di un file da computer ( un tempo si sarebbe detto, dai dattiloscr­itti). Non è una lettura respingent­e, non ci ricorda che tutto è in forse. Ci mostra l’opera come sarà stampata e vista dagli altri, e al tempo stesso ci permette di fare correzioni. È il primo momento in cui è concesso all’autore di emozionars­i sul lavoro che ha fatto, di capirlo. Mostrare invece le varianti, i ripensamen­ti, la fatica, la correzione di un accento, l’esclusione di un avverbio è qualcosa di perverso, una conoscenza apparente delle cose, che non porta a nulla, e che offende l’intelligen­za dei lettori. Bisogna tenersi lontano dalla condivisio­ne quando è confusione, è rumore, inquinamen­to intellettu­ale, potremo dire. Tutto sembra a portata di mano. Ma non tutto è musica, anche quando è grande musica; e ascoltare cento concerti suonati contempora­neamente da cento orchestre nella stessa piazza è una tortura, anche se suonano il repertorio più bello del mondo.

 ??  ?? L’ossessione di condivider­e Il successo dell’esperiment­o di uno scrittore americano, che permette ai suoi lettori di incidere sul suo testo tramite una chat, tende a togliere “sacralità” al lavoro della scrittura, facendone uno spettacolo.
L’ossessione di condivider­e Il successo dell’esperiment­o di uno scrittore americano, che permette ai suoi lettori di incidere sul suo testo tramite una chat, tende a togliere “sacralità” al lavoro della scrittura, facendone uno spettacolo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy