La chiave della libertà ce l’hanno i servi
Reso celebre dalla profonda amicizia con Montaigne di cui si parla nei Saggi, Étienne de la Boétie sarà ricordato soprattutto grazie al Discorso sulla servitù volontaria ( pubblicato in versione integrale solo nel 1577, ma composto probabilmente tra il 1550 e il 1557). Giovane consigliere nel tribunale di Bordeaux, la Boétie si interroga sulla malvagità del tiranno e sulla volontaria sottomissione di coloro che gli permettono di esercitare la sua tirannia. Un tiranno, infatti, riceve forza solo dagli uomini « asserviti miseramente » : « È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola, che, potendo scegliere se esser servo o libero, abbandona la libertà e si sottomette al giogo » ( p. 10). Senza i servi il tiranno non esisterebbe: « Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia, se voi non glieli forniste? […] Che male potrebbe mai farvi se non faceste da palo al ladrone che vi saccheggia, se non foste complici dell’assassi- no che vi uccide e traditori di voi stessi? » . Il vertice della piramide non potrebbe reggersi senza una base solida: sotto il tiranno ci sono 5 o 6 consiglieri, poi « altri 600 approfittatori » e questi « hanno sotto di loro 6 mila cui fanno fare carriera » . « Grazie a questa corda » non solo 6 mila servi « sono attaccati al tiranno, ma 100 mila, ma milioni » . Eppure i servi sanno bene che i miseri privilegi concessi possono essere perduti all’improvviso, con la stessa ferocia con cui sono stati tolti ad altri. Al di là del suo contesto storico ( animato da conflitti religiosi), il pamphlet è un inno alla libertà. Le forme di tirannia e servitù sono molteplici e, spesso, mascherate. Ancor oggi ci sono troppe corde e cordate che ci rendono servi. La Boétie ha il merito di ricordarci che la chiave della prigione sta nelle nostre stesse mani: « Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi » .