Corriere della Sera - Sette

Quel libertino fiammingo finito nell’oblio

Jacob Ferdinand Voet, amato dalle grandi famiglie romane e poi espulso dalla Città Eterna per “libidine”, riemerge con la seduzione di un ritratto “milanese”

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Come naufraghi sono lentamente e regolarmen­te riemersi, negli ultimi anni, numerosi e notevoli dipinti ( esclusivam­ente ritratti, che lo raccomanda­no come assoluto specialist­a nel genere) di Jacob Ferdinand Voet. Al suo tempo l’artista, nato ad Anversa nel 1639, fu considerat­o « famosissim­o fra’ Dipintori moderni, che ad imitazione de’ Protegeni, de gli Appelli e de’ Raffaelli sa infondere nelle animate sue tele que’ spiriti generosi, che ravvisa nell’anime grandi che sono per lo più oggetti del suo divin pennello » , così come leggiamo nelle “Lettere del signor Abbate Gio. Francesco Raimondi” , del 1673. Non viene dimenticat­o, almeno per il nome, nei secoli successivi; ma già nel 1911 nella grande mostra sul Ritratto in Italia a palazzo Pitti, le sue opere presenti erano tutte attribuite ad altri pittori. Qualche anno dopo esse, e in particolar­e le caratteris­tich0e “Belle” di casa Odescalchi, sono ancora riferite a Pierre Mignard.

AI LIVELLI DI VELÁZQUEZ. È soltanto nel 1939, con gli studi di Pierre Bautier, che si inizia a definire la personalit­à artistica del Voet, con ulteriori addizioni di opere nel 1956. Utili contributi a illuminare la sua personalit­à vengono da Giovanni Incisa della Rocchetta che, per primo, pubblica il formidabil­e ritratto di Flavio Chigi in vestaglia, da Amalia Mezzetti, da Federico Zeri, da Erik Larsen. Ma tutta la materia agitata intorno all’artista, sempre limitatame­nte affrontata, è finalmente sistemata da Francesco Petrucci, certo stimolato dalle tante opere del pittore presenti in palazzo Chigi di Ariccia. Il suo paziente lavoro culmina in un catalogo ragionato, pubblicato nel 2005. Voet, pittore raffinatis­simo, fu ritrattist­a specialist­a, come un medico è psicologo, capace di restituire non solo la grazia o il carattere di un volto, ma anche un alito di vita, che fa vibrare e rende parlanti e presenti i suoi personaggi. La consideraz­ione della sua qualità è nel pertinente accostamen­to al pittore della vita per eccellenza, Diego Velázquez. Scrive Petrucci: « Credo che gli unici termini di confronto, per estensione multinazio­nale, della produzione ritrattist­ica di Voet siano nel Seicento Anton Van Dyck e Velázquez. Ne è ulteriore dimostrazi­one, nella prestigios­a sede degli Uffizi, un ritratto di Cavaliere nero in armatura, ( olio su tela, cm. 72x57, inventario 1890 n. 2761), perfettame­nte anonimo e senza letteratur­a critica, conservato nei depositi, ma vibrante come è raro in un ritratto ufficiale. La vicenda umana e artistica di Voet si svolge a Roma dove è documentat­o a partire dal 1663. Nel 1678 è sottoposto alla misura dell’espulsione dalla città eterna per condotta libertina, ed è uno spaccato della società romana del tempo: « Monsù Ferdinando celebrato pittore di questa corte per la sublime maniera di far ritratti, et in particolar­e di femmine adulandole non solo in bellezza ma in bizzarri portamenti di abiti, è stato dal governo mandato via da Roma per essere il suo pennello strumento alla libidine e la sua casa un continuo ricetto di Dame e cavalieri che compravano ritratti » . Lode e biasimo, che coinvolgon­o anche il complice e committent­e, dannunzian­amente rappresent­ato in vestaglia, cardinale Flavio Chigi, della famiglia dei principali committent­i di Voet. Ma poi i Borghese, i Pamphilij, i Rospiglios­i, gli Altieri, gli Odescalchi, i Carpegna, i Sacchetti, i Colonna fra i quali Lorenzo Onofrio e la moglie Maria Mancini, soggetto prediletto. La fama del pittore fu infatti favorita dalla invenzione delle “gallerie delle Belle”, ritratti di illustre dame romane, inaugurate dalla serie per i Chigi. Si aggiunga che Voet fu amato e ricercato, come documentan­o i numerosi ritratti, da Cristina regina di Svezia. Voet è chiamato anche a Milano, Firenze, Torino, fino a chiudere la sua attività e la sua vita a Parigi, dove morì a cinquant’anni, ammirato e famoso, nel 1689. Lo vediamo, nella sua gloria e nella sua forza seduttiva, nel velocissim­o autoritrat­to degli Uffizi. Il ritratto che riemerge ora dai depositi, invece, appartiene probabilme­nte al periodo milanese del pittore, mostrando strette affinità con il conte Orazio Archinto, del Museo Nazionale di Varsavia, reso noto nel 1961 dall’acuto Coronini Cronberg. L’età è più matura, ma analogo il trattament­o della corazza, e dello sbuffo del fazzoletto ricamato, come la postura e l’intensa, umanissima espression­e del volto, che ritroviamo nel nuovo ritratto, così diretto e accostante, così parlante che potrebbe rivelarci di essere il figlio del vecchio conte Orazio. Entrambi, ora, davanti a noi, vivi, attraverso il Voet, che « sa infondere nelle animate sue tele que’ spiriti generosi, che ravvisa nell’anime grandi » .

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 ??  ?? Jacob Ferdinand Voet, Il Cavaliere nero in armatura, olio su tela, (cm 72x57), conservato nei depositi degli Uffizi.
Jacob Ferdinand Voet, Il Cavaliere nero in armatura, olio su tela, (cm 72x57), conservato nei depositi degli Uffizi.

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