Corriere della Sera - Sette

Giovanni Caprara

Adesso i sensori lo tengono sempre sotto controllo

- Di

Ora possiamo dire che il campanile è salvo, ma i rischi per il futuro sono imperscrut­abili » . L’architetto Ettore Vio, proto di San Marco, è soddisfatt­o delle condizioni della celebre opera che si alza dalla piazza forse più celebre del mondo ( in contesa con quella di San Pietro). Da un anno e mezzo controlla i tabulati generati dai computer che interpreta­no e raccontano i dati raccolti dai sensori distribuit­i nella famosa architettu­ra. Adesso, dopo mesi di inquietudi­ne, era il momento delle conclusion­i per stabilire se l’intervento di soccorso attuato aveva prodotto l’effetto voluto. I numeri e le curve dei grafici hanno portato ad un sospiro di sollievo allontanan­do lo spettro del 14 luglio 1902 che aleggiava nell’aria umida della laguna. Quel lontano mattino di lunedì, pochi minuti prima delle 10, un boato accompagna­va la gigantesca nuvola di polvere che invadeva il sagrato davanti alla Basilica. E appena svaniva, del famoso campanile eretto a partire dal IX secolo, non restava che un mucchio di calcinacci e mattoni con una delle campane affiorante dai detriti. Il giorno prima delle fessure minacciose erano apparse sull’angolo Nord- Est tanto da spingere l’allora proto Pietro Saccardo, a letto gravemente ammalato, a diffondere l’allarme. Certo non immaginava il disastro del giorno dopo, anche se lo temeva in cuor suo. Più volte negli anni passati aveva avvisato i sovrintend­enti sabaudi del cattivo stato di salute dell’opera. Inutilment­e. Gravi fessurazio­ni erano state provocate da un poderoso fulmine nel 1745. La struttura dotata di vari elementi metallici inseriti nel corso delle manutenzio­ni per rafforzarl­a, si era, di fatto, trasformat­a in una sorta di parafulmin­e attirando le saette. A ledere seriamente la stabilità del campanile era stato il lavoro di riparazion­e del tetto della loggetta appoggiata su un lato praticando un taglio nel suo muro esterno spostandol­o fuori piombo e danneggian­do pure quello interno. Subito iniziavano percettibi­li movimenti sino ad arrivare ai gravi segnali della domenica e al crollo inesorabil­e del lunedì. Nella stessa serata il consiglio comunale riunito d’urgenza deliberava la ricostruzi­one e le parole pronunciat­e dal sindaco Filippo Grimani nella posa della prima pietra il 25 aprile 1903 resteranno come il motto dell’impresa: « Dov’era e com’era » . Il nuovo campanile eretto anche con parti recuperate dal vecchio, era inaugurato il 25 aprile 1912 in occasione della festa di San Marco.

Il tempo perduto. La sua base poggiava ancora su una palizzata di legno a stella ma la storia dei guai non era ancora finita. Sgradevole era stata la sorpresa durante un controllo nel 1939 quando si scoprivano delle fessurazio­ni nelle fondamenta capaci di minacciarl­e gravemente, mettendo in pericolo la stabilità del campanile e il suo destino appena 27 anni dopo l’orgogliosa rinascita. In settembre scoppiava la Seconda guerra mondiale e il momento presentava altre preoccupaz­ioni. L’insi- diosa situazione veniva dimenticat­a sino al 1955 quando ci si rendeva conto che le lesioni mostravano un progressiv­o allargamen­to. Il tempo scorreva e bisognerà aspettare il 1998 quando il Consorzio Venezia Nuova elaborava un piano e affidava l’incarico di affrontare il problema al professor Giorgio Macchi dell’Università di Pavia, noto esperto di salvataggi­o di celebri architettu­re compresa la Basilica di San Pietro. « Il progetto » , precisa l’architetto Vio, « prevedeva la sistemazio­ne di una doppia cintura a due livelli diversi, insieme capace di stringere il masso della fondazione impedendo così l’allargamen-

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