La piramide della discordia
Grandi ostilità al progetto faraonico di Libeskind nel centro di Gerusalemme
Quel dito medio (come lo bollano i detrattori) innalzato verso il cielo aveva già disturbato la percezione che della loro città hanno gli architetti locali e gli ebrei ultraortodossi. Tutt’e due d’accordo nel sostenere che Gerusalemme non ha bisogno di nuovi monumenti. «Siamo asserviti agli dei della crescita e costretti a elargire loro sacrifici», come commenta il vicesindaco di Tamir Nir, che si oppone al piano: sette anni fa il ponte disegnato da Santiago Calatrava con quell’asta d’acciaio puntata a sfidare il cielo, adesso il progetto di Daniel Libeskind. Che vuole costruire una piramide nel cuore commerciale della metropoli e ha incontrato i cittadini per spiegare e giustificare l’idea. Perché il palazzo sarà alto 165 metri e i suoi 33 piani saranno 9 in più di quelli concessi dal piano urbanistico in quella zona. E soprattutto perché a troppi quella forma sembra inappropriata: già immaginano le celebrazioni della Pasqua ebraica, con il ricordo della liberazione dalla schiavitù in Egitto, sovrastate da quel simbolo faraonico. Il palazzo di Libeskind è di un metro più alto della più alta piramide in Egitto e il quotidiano Haaretz ha fatto notare che l’operazione potrebbe sembrare anche una provocazione verso il Paese arabo confinante con cui Israele è in pace da 36 anni. «Il mondo sta mutando e voi dovete mutare con lui», ha incitato Libeskind e ha spiegato come mai abbia cambiato idea rispetto a due anni fa quando aveva dichiarato che Gerusalemme «è un luogo divino e non ha bisogno di alcuna icona in più». Dice di aver letto Theodor Herzl, il pensatore che fondò il movimento sionista, e di aver capito da lui che Gerusalemme non possa avere solo monumenti sacri. «Ha bisogno anche di edifici moderni perché portano investimenti: questa città ha tanta storia ma deve immaginare anche un futuro. Non sono nostalgico, la nostalgia non ha mai costruito nulla». Tamir Nir, il vicesindaco con laurea in architettura, sostiene che quanto la nostalgia il progetto è distaccato dalla realtà.