Giornalisti nel mirino
Nuovo omicidio, il quarto in tre mesi: «La cultura dell’impunità impera a Manila»
Le modalità, in questi casi, non cambiano mai: due uomini in moto, casco integrale ben calato sulla testa, si sono avvicinati a Jose Bernardo che aspettava qualcuno davanti a un ristorante fast-food di Quezon City, la più grande delle aree che compongono Manila. Erano le nove di sabato sera, e il giornalista, corrispondente della radio Dwbl ed editorialista per un tabloid della capitale filippina, era uscito di casa dicendo che aveva un “appuntamento di lavoro”. Così, semplicemente, a 44 anni, ha visto arrivare i proiettili di una calibro 45 che il killer, il passeggero della moto, gli ha scaricato addosso (ferendo gravemente anche un cameriere) prima di scappare via. A quale dei suoi articoli sia stata dovuta la condanna a morte, non si sa. «Potrebbe essere anche che avesse litigato con qualcuno», ha ipotizzato subito l’ispettore capo Rodelio Marcelo. Ogni pista è possibile, certo. «Denunciamo l’omicidio qualunque sia il motivo», ha dichiarato subito il presidente del National Press Club, Joel Sy Egco. «Mostra quale sia la cultura dell’impunità, in questo Paese, nei confronti del lavoro dei giornalisti». I freddi dati gli danno ragione (mai così tanto): le Filippine sono al quarto posto nella classifica mondiale per colleghi uccisi, stilata dal Committee to Protect Journalists di New York, che vede in testa Iraq e Siria. Quattro sono quelli ammazzati da agosto, e la conta sale a 30 — secondo il sindacato Nujp — se si parte dall’avvento al potere del presidente Be- nigno “Noynoy” Aquino nel 2010, e a 170 se si parte dall’introduzione della libertà di stampa, nel 1986, dopo il regime di Ferdinando Marcos. Cifre pesanti, che mettono le Filippine anche fra le quatto nazioni in cui è più diffusa la “cultura dell’impunità” nei confronti di chi uccide i rappresentanti della stampa: l’International Federation of Journalists di Bruxelles, infatti, che conta 400 mila iscritti, ha appena affiancato, da questo punto di vista, Manila a Messico, Ucraina e Yemen. Nujp e Ifj hanno anche accusato il governo di non aver fatto nulla per proteggere la vita dei giornalisti filippini (nella foto, una manifestazione a sostegno della stampa), ricordando anche il massacro — ben 32 giornalisti uccisi con altre 24 persone — commesso nel 2009 in un attacco commissionato dal capo di un clan considerato allora “vicino” al presidente: un crimine per cui molti sono stati accusati e finora nessuno condannato, in un processo ancora in corso — il verdetto dovrebbe arrivare l’anno prossimo — durante il quale diversi testimoni sono stati uccisi senza troppi complimenti.