Quando ci si mette anche il cervello a peggiorare i nostri mali
l dolore ha un’importante componente psicologica, che lo rende estremamente soggettivo, difficile da valutare e da gestire. E che porta non pochi operatori a liquidare il paziente con uno sguardo di sufficienza e poche parole: « Signora, è tutto nella sua testa » ( se si tratta di una donna, il sospetto di “isteria” diventa certezza). Quando gli esami clinici non danno risultati, è impossibile che una persona senta male da qualche parte? No. È possibile e frequente: succede, per esempio, in più della metà dei casi di dolore di schiena cronico.
IStimolo da comprendere. Siamo portati a pensare che il dolore sia un segnale trasmesso dalla periferia ( per esempio, un piede che urta un sasso) al cervello. In realtà, ci sono anche messaggi che vanno in senso inverso, modificando la percezione dello stimolo. E ci sono molti fattori che possono intervenire sul sistema nervoso centrale causando sensazioni negative anche quando la malattia o il trauma sono guariti da tempo. Tra questi fattori c’è il dolore stesso: sopportarlo a lungo può esasperarci. Si sa da più di trent’anni che la maggior parte dei dolori cronici è da attribuire anche a una “sensibilizzazione” del sistema nervoso più che a oggettivi problemi nella parte del corpo che fa male. La soluzione in questi casi non è mandare a casa il paziente ( il dolore che sente è reale), ma neppure prescrivergli a vita antidolorifici o guardarlo come fosse pazzo. Il primo passo è proprio capire che il suo caso non è né raro né da trascurare. Questa presa di coscienza deve servire anche al paziente per raggiungere un altro importantissimo traguardo: smettere di sognare una diagnosi sorprendente, una cura miracolosa o un guru che risolva tutto.
Una strategia mirata. Troppe persone in questi casi sprecano soldi e lunghi periodi di tempo girando tra ospedali, specialisti e improbabili terapeuti. Bisogna seriamente valutare quanto il dolore sia da attribuire a una condizione fisica o a una prevalentemente psicologica. Capire è il primo passo per iniziare una riabilitazione muscoloscheletrica che tenga conto anche dei fattori psicologici. Una strada che può essere lunga, ma è l’unica possibile e spesso porta a ottimi risultati. Perché la percezione del dolore, così come è peggiorata, può sempre migliorare. Si può intervenire sui fattori responsabili della “ipersensibilizzazione” e quando necessario si studia con il paziente una strategia di convivenza con il dolore. Una volta fatti gli accertamenti indispensabili, con l’aiuto di un operatore di cui ci si fida ( medico, fisioterapista, psicologo, coach, trainer, figure che possono anche lavorare in équipe), il dolore può migliorare davvero
tanto.