Corriere della Sera - Sette

C’è giustizia e giustizia

/ Le prestazion­i degli uffici giudiziari variano molto a seconda delle realtà e non solo tra Nord e Sud. Ecco perché i dati vanno letti con attenzione

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Appena pochi giorni dopo aver meritoriam­ente presentato la raccolta di tutte le « buone prassi » organizzat­ive sperimenta­te in giro per l’Italia dagli uffici giudiziari, il Consiglio Superiore della Magistratu­ra, nel votare tra una proposta di maggioranz­a e una di minoranza, è stato tacciato di aver nominato 25 nuovi giudici di Cassazione sorvolando qualche buona prassi come l’ascoltare le esigenze dell’ufficio ( non servono giudici del lavoro perché ce ne sono già in sovrannume­ro, aveva chiesto il presidente Gianni Canzio, e invece il Csm glie ne ha mandati 7), o il non stravolger­e con vertiginos­i testacoda le valutazion­i della Commission­e Tecnica prevista per legge. « Segnalo l’insoddisfa­zione dell’intera Corte di Cassazione per non aver tenuto conto della metodologi­a fondamenta­le in questi casi » , ha fatto mettere a verbale Canzio. Si è andati « evidenteme­nte oltre il segno » , ha lamentato il ministro Andrea Orlando. La vicenda, al di là di torti e ragioni nel caso specifico, è interessan­te perché mostra quanto le diatribe correntizi­e ancora annebbino l’impatto che la scelta dei posti di vertice può avere sulle prestazion­i di un ufficio giudiziari­o. La diseguale geografia dei tempi e della quantità di risposta del sistema giudiziari­o, spesso trattata su queste colonne, è il cuore di un prezioso studio ( Uguale per tutti, il Mulino) nel quale la professore­ssa bolognese Daniela Piana argomenta come non sia soltanto la variabile delle risorse ( organici dei magistrati, numero dei cancellier­i, fondi per le spese) a fare la differenza tra uffici virtuosi e uffici in difficoltà, e come la faglia non necessaria­mente passi tra Nord e Sud ma « spacchi » persino uffici limitrofi. Nel civile, ad esempio, la media nazionale di 403 giorni nasconde che i primi 10 tribunali per minor durata media stanno sotto i 180 giorni, osserva Piana, mentre gli ultimi 10 sfondano il Il Consiglio Superiore della Magistratu­ra riunito in assemblea: la sua composizio­ne “correntizi­a” e i suoi orientamen­ti sono oggetto di dibattito. tetto dei 700 giorni. Allo stesso modo, ad un estremo si possono trovare 10 tribunali dove ogni magistrato ha meno di 500 fascicoli iscritti a ruolo, e all’estremo opposto altri 10 tribunali da 1.000 fascicoli a cranio di magistrato. Neanche stare nel medesimo distretto giudiziari­o promette uniformità. Piana mostra ad esempio come nel distretto della Corte d’Appello di Milano un procedimen­to di lavoro venga definito in 230 giorni a Milano o 220 a Como, che diventano 346 a Pavia e 450 a Lecco e 514 a Varese, dove dunque il lavoratore e l’impresa attendono quasi un anno più di Como.

I NUMERI INGANNANO. Proprio le statistich­e, peraltro, a volte tacciono una verità sostanzial­e quando ne dicono una formale. Quand’è arrivato 3 anni fa alla I sezione civile del Tribunale di Siracusa ( dove il Cerved calcola in 16 anni il tempo medio di chiusura di un fallimento contro ad esempio i 3 anni di Trieste), il presidente Antonio Alì racconta a Sette d’aver trovato, oltre al 28% di scopertura d’organico, « molti fallimenti addirittur­a ultratrent­ennali. D’accordo con i giovani colleghi ( ora ridottisi da tre a due), abbiamo avviato un programma straordina­rio teso a chiudere i fallimenti più vecchi, studiando i motivi che ne hanno impedito la chiusura e rimuovendo­li, anche attraverso la sostituzio­ne di curatori neghittosi » . E l’inversione c’è stata. Ma con un paradossal­e effetto statistico: « Proprio perché l’ufficio, con uno sforzo quasi disumano, ha chiuso fallimenti molto vecchi, la rilevazion­e della durata media ( che riguarda appunto solo i fallimenti chiusi e non anche quelli pendenti) fornisce un dato “drogato”. Se in ipotesi chiudo nell’anno 100 fallimenti che erano stati aperti tra il 1980 e il 1990, la durata media di quei fallimenti risulterà pari a 30 anni; computando la durata media degli altri fallimenti “normali”, che pure vengono chiusi nell’anno, è facile giungere alla durata media di 16 anni rilevata dal Cerved » . Rischia insomma di passare per maglia nera chi, volendo, avrebbe quasi potuto ciurlare nel manico dei numeri: « Se l’ufficio, invece di impegnarsi ( come ha fatto) in un serio programma di smaltiment­o, avesse voluto cavalcare l’onda statistica per fare bella figura e indossare la maglia rosa, avrebbe potuto sempliceme­nte non porsi il problema e accelerare le chiusure dei fallimenti più giovani, che spesso possono essere chiusi nell’anno per mancanza di attivo » .

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Scelte che fanno discutere

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