Le indecenti prigioni di Padula
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Queste parole di denuncia sulla drammatica condizione dei detenuti sembrano scritte oggi, eppure sono apparse su un giornale calabrese, il Bruzio, stampato a Cosenza tra il 1864 e il 1865. Vincenzo Padula – prete e letterato rivoluzionario di Acri, apprezzato da Francesco De Sanctis e Benedetto Croce, e rilanciato all’attenzione della critica negli anni Cinquanta da Carlo Muscetta – lo redigeva da solo, con lo scopo di far conoscere ai funzionari dell’Italia unitaria i grandi problemi del Sud: il brigantaggio, lo sfruttamento dei lavoratori e dei bambini, la ferocia dei potenti, la corruzione del clero e delle autorità civili, l’usurpazione dei beni demaniali, la concentrazione dei latifondi della Sila nelle mani di poche famiglie. Sono straordinarie le pagine dedicate all’analisi delle varie figure sociali e dei mestieri che
« E parole indecenti sono anche e
Essi sono […] la piaga che puzza, i pidocchi che camminano sul corpo sociale. Chi avrebbe la virtù di parlarne? […] Le prigioni di Cosenza bastano appena a 500 prigionieri, e nondimeno al momento ne contengono 897. Manca a quegl’infelici l’aria da respirare, il luogo da muoversi, sono legati a mazzi come i dannati dell’inferno, gli uni agli altri sovrimposti come fasci di fieno »