Corriere della Sera - Sette

Il tempo della creazione ai tempi di Internet

/ Una volta l’arte era fatica, perfezioni­smo e ripensamen­ti. Oggi artisti e scrittori hanno sostituito la fucina di Vulcano, e rischiano di perdere l’anima

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Le fatiche della creazione sono fonte da sempre di leggende e racconti fantastici. Immaginiam­o Michelange­lo affaticato, stanco eppure febbrile nel dipingere la Cappella Sistina, miniatori medievali quasi accecati dal dover perfeziona­re i dettagli di un codice, scrittori come Alessandro Manzoni sfiniti dalle revisioni, dalle note minute a margine dei loro libri. Vediamo la polvere di marmo nello studio del Canova entrargli nelle narici, coprire di una patina bianca i vestiti. Per non dire del camino acceso in cui Baudelaire lanciava carte con versi poco riusciti, per distrugger­li e ricomincia­re. Senza dimenticar­e, in tempi più vicini, i mal di testa che provocavan­o gli acidi dello sviluppo nelle camere oscure, a starci dentro, alla luce di una piccola lampadina rossa, per troppe ore. L’arte voleva tempo, ed era tempo dissipato in perfezioni­smi, ripensamen­ti. L’arte e la cultura hanno sempre prodotto rifiuti, scorie, sprechi: che fossero cestini per la carta ricolmi di fogli appallotto­lati, che fossero cartucce di inchiostri, stampe fotografic­he esposte male alla luce dell’ingrandito­re, marmi spaccati come non si dovrebbe, tele con colori che seccavano con tonalità non gradite. E poi corde di violino che si spezzavano, partiture da riscrivere. Il mondo della creatività aveva odore di chiuso, faceva starnutire per la polvere, costringev­a a bagni di sudore imprevisti. Obbligava a ricomincia­re, ingombrava scrivanie e tavoli. Era disordine, fucina, strumenti di ogni genere sparsi dappertutt­o. Italo Calvino chiamava tutto questo: il laboratori­o di Vulcano. Roba da inferi della terra. Materia bruta e primordial­e che per uno straordina­rio miracolo cominciava a volare, a sollevarsi da terra come fosse aria o vento, leggerezza e grandezza. Per cui un blocco di marmo di un peso insostenib­ile finiva per avere la grazia del David di Michelange­lo. Ma il web, i software creativi, la diffusione delle opere attraverso la rete, i romanzi scritti sui monitor hanno trasformat­o le fucine di Vulcano. Ne hanno fatto un open space assolutame­nte di tendenza. Dove non ci sono più le sorprese che un tempo trovavi dai vecchi rigattieri, una madonna con bambino di pregio sepolta sotto un quadro di nessun valore, oggetti che con l’immaginazi­one potevano diventare pezzi di arredament­o bellissimi e inaspettat­i. Fotografie ingiallite di sconosciut­i che raccontava­no un’epoca. Ora la fucina di Vulcano fa a meno del magma, degli acidi, del caldo e del sudore creativo e mostra pochi oggetti di design: monitor extra sottili e nitidi, con tastiere gommose e silenziose. Il bianco dei dispositiv­i digitali, l’impalpabil­ità dei software che si aprono per darti la possibilit­à di scrivere senza che i polpastrel­li si sforzino più di tanto, i programmi, meglio le suite creative, che sviluppano le foto senza sporcarsi le mani con il bagno di fissaggio, e l’acqua corrente per lavare le stampe. I montatori di film che non tagliano più la pellicola per ricongiung­erla a un altro pezzo. I gesti, il lavoro artistico e intellettu­ale ha l’impatto lieve di un laboratori­o da film di fantascien­za. Tutto questo fa risparmiar­e fatica e lascia più tempo, più tempo per creare, più tempo per condivider­e le proprie cose con gli altri, più tempo per immaginare nuove opere, nuove creazioni. Il tempo che conta ormai viene dopo la fase creativa. Non durante. Non si cura delle revisioni, non si dispera di fronte a correzioni divenute illeggibil­i. Il digitale, ma anche il web, è pulito, lindo, sorprenden­te. Lascia il tempo per fare altro. Dimentican­do che è il fare che regala il tempo, che è il fare che ci permette di immaginare le cose che creiamo. Gli artisti, gli scrittori, generalmen­te i creativi ( termine ormai banale, ma rende l’idea) hanno ripulito tutto. Hanno aperto le finestre, hanno sostituito gli inferi creativi di Vulcano, in un bungalow in riva a un mare esotico dove ogni cosa è possibile. Senza timori e inquietudi­ni. E hanno lasciato probabilme­nte là sotto, in quell’antro buio e affascinan­te, le loro opere migliori, e forse la loro anima.

Il vocabolo deriva dal greco (“gara”), e indica, oggi come nell’epoca classica, chi si cimenta in una competizio­ne sportiva. Nell’antichità le vittorie degli atleti venivano cantate dai poeti, i quali facevano in modo che esse venissero interpreta­te come una conquista per l’intera comunità di riferiment­o. Potenza dello sport di ogni epoca: ancora oggi, di fronte a gesti atletici di particolar­e bellezza, ci sorprendia­mo a pensare alla poesia. E a sentirci un po’ migliori anche noi, per il solo fatto di aver avuto il privilegio di assistervi.

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