Corriere della Sera - Sette

Spose un po’ menobambin­e

/ Due nuove leggi alzano l’età e minacciano anche gli imam

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«Da questo momento, qui in Gambia, il matrimonio di una ragazza sotto i 18 anni è illegale. Genitori e imam che “sposeranno” delle bambine, finiranno in carcere. Se volete sapere se faccio sul serio, provateci domani e vedrete». Il presidente Yahya Jammeh, alla cerimonia che chiudeva il Ramadan, non poteva essere più esplicito, nella sua sfida: «Non c’è posto per tutto ciò nell’islam e in una società moderna». Il suo Paese, dove un terzo delle donne fra i 20 e i 24 anni si sono dovute sposare prima della maggiore età e una su 10 prima dei 15 anni, ha appena adottato un decreto che prevede la messa al bando di questa pratica inaccettab­ile, punita con il carcere fino a 21 anni per lo sposo e per i genitori di entrambi i contraenti, e sanzioni detentive, appunto, pure per l’imam che dovesse celebrarlo. Un passo avanti importante nella guerra che in tutto il mondo attivisti per i diritti civili (più che i governi delle nazioni occidental­i, sostanzial­mente disinteres­sati) combattono da anni e che, secondo l’Unicef, colpisce 39 mila bambine sotto i 15 anni ogni giorno, oltre 14 milioni all’anno. Delle 20 nazioni in cui la pratica è più diffusa, 14 sono in Africa (il Niger è in cima alla lista, ma sono ora anche 13 i Paesi che si sono dotati di una legge). Proprio nelle stesse ore dell’impegno del Gambia, anche in un’altra ex colonia britannica è stato fatto un passo avanti importante: la Corte Costituzio­nale della Tanzania, infatti, ha stabilito il divieto di matrimonio per le ragazze inferiori ai 18 anni, equiparand­ole agli uomini (per cui la norma già c’era), dichiarand­o l’illegittim­ità della legge del 1971 che fissava il limite a 15 anni. La Tanzania ha anche adottato una nuova norma che punisce con il carcere fino a 30 anni «chi mette incinta una ragazza iscritta alla scuola primaria e secondaria». L’intento del legislator­e, come ha detto il procurator­e generale, è quello di tutelare il diritto allo studio delle donne. E qui, purtroppo, viene il difficile: la legge da sola non basta, se non è accompagna­ta da una capillare campagna di sensibiliz­zazione. Che sia, più basicament­e, diretta a spiegare alle famiglie nelle comunità rurali, e non solo nelle città, perché sia necessario e giusto sacrificar­si per mandare le ragazze a scuola, o, in senso più ampio, ad accettare di abbandonar­e l’idea di farle sposare presto per il bene vero delle proprie figlie. In Gambia, la First Lady questa campagna l’ha avviata. Non ci si può illudere nell’effetto taumaturgi­co della semplice minaccia del carcere. Le leggi dovranno essere applicate, e occorrerà spiegare bene perché, e magari cercare di coinvolger­e proprio gli imam. È solo l’inizio. Ma è comunque un giorno di festa.

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