Corriere della Sera - Sette

Il cacciatore di ossa

/ Percorre 30-40 km al giorno in cerca dei resti dei dispersi di Srebrenica

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Sono passati 21 anni dal massacro di Srebrenica, quando oltre 8 mila musulmani vennero uccisi dalle milizie serbo-bosniache capitanate dal generale Mladic. Le commemoraz­ioni ufficiali si sono tenute come sempre, da allora, l’11 luglio, diventato giorno di lutto nazionale. C’è però un uomo per il quale rievocare quei tragici giorni è un impegno quotidiano. Viene dal villaggio di Buljim, nell’area dove si compì il massacro, si chiama Ramiz Nukic, ma il suo soprannome è “il cacciatore di ossa”. Ogni giorno Ramiz si addentra nei boschi intorno a Bratunac, dove molti uomini e ragazzi cercarono una via di scampo verso la Bosnia all’arrivo delle truppe serbe, in cerca dei resti di quanti furono uccisi proprio lì, sotto gli alberi, durante la fuga. C’era anche lui, insieme con il padre e il fratello, ma fu l’unico dei tre a scamparla. Quattro anni dopo tornò al suo villaggio e in quei boschi, in cerca di quel che restava dei suoi familiari. Intervista­to da Dragana Erjavec per il sito Balkan Insight, Ramiz racconta che quel che vide gli gelò il sangue nelle vene: «Abiti e scarpe sparpaglia­ti nel sottobosco, tre scheletri interi davanti ai miei piedi. Ero spaventato, ma qualcosa mi spingeva verso quelle ossa». Da allora, ogni giorno, percorre palmo a palmo la foresta in cerca dei resti dei suoi cari, ma non solo. Grazie a lui, l’Istituto per le persone scomparse di Bosnia-Erzegovina ha potuto identifica­re oltre 200 persone e oltre 200 famiglie possono ora, forse, trovare un briciolo di pace. I resti di suo padre e di suo fratello in Svizzera, ma ha le sue regole. Regole che purtroppo vengono spesso disattese dalle lavoratric­i del sesso, che tendono a cercare clienti anche al di fuori delle zone di tolleranza. Capita più frequentem­ente da quando si è verificato un rapido turnover di profession­iste e sono aumentate le straniere, in gran parte provenient­i dai Paesi dell’Est, che non hanno ben chiaro come comportars­i, ha spiegato il Dipartimen­to di sicurezza e li ha individuat­i l’anno scorso, nell’area di Zvornjk, e ora sono sepolti nel cimitero musulmano di Potocari, vicino a Srebrenica. Il ritrovamen­to dei suoi cari non ha però esaurito la sua missione. «Quando li ho trovati mi sono sentito così felice che ho deciso di continuare a cercare perché altre famiglie potessero provare lo stesso sollievo che ho provato io», ha raccontato. Così, ancora oggi, nei giorni liberi dal lavoro percorre anche 30, 40 chilometri perlustran­do ogni centimetro della foresta. La fatica, dice, la sente solo nei giorni in cui non trova nulla. Lo scorso anno, l’Istituto per le persone scomparse voleva chiudere la ricerca in quella zona, sostenendo che non c’erano più ossa da ritrovare. Ma Ramiz, che vive in povertà a Buljim e mantiene la sua famiglia coltivando fragole, si è fermamente opposto: «Finché io sarò qui e troverò anche il più piccolo osso questa zona non si chiude. Quando smetterò di cercarli, allora saprete che qui non ce ne sono più». Delle oltre 8 mila vittime, solo 7 mila sono state ritrovate. Ne restano altre mille da identifica­re, e Ramiz lo sa. giustizia di Basilea. Con quei disegni per terra la polizia, sollecitat­a anche da una petizione di abitanti delle zone “di sconfiname­nto”, ha inteso rendere tutto più chiaro per le lavoratric­i e più facile per gli agenti perseguire quelle che escono dalle aree designate. Sono circa 800 le operatrici del sesso che lavorano nell’area di Basilea, la maggior parte in locali a luci rosse, mentre sono solo una cinquantin­a quelle che scelgono il marciapied­e.

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