Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Verso l’inizio della primavera del 1956, quando furono completati quattro capitoli, Orlando [ a cui Tomasi a partire dal 1953 aveva tenuto un ciclo di lezioni di lingua e letteratura inglese], indovinando di far piacere al maestro, poiché questi non aveva una buona macchina per scrivere, gli propose di dattilografare quanto andava scrivendo. L’allievo conosceva già il testo, sia per aver letto egli stesso i primi due capitoli ad alta voce, come dapprima desiderava l’autore ( quasi per verificarne l’effetto), sia per aver ascoltato i successivi dalla viva voce dell’autore [...]. In via Dante 15 [ a Palermo], nello studio legale del padre, nei soli giorni pari in cui questo era chiuso, Orlando, discretamente veloce sotto dettatura, batté a macchina il manoscritto, facendone quattro copie con carta carbone. Nelle prime ore di tanti pomeriggi della primavera del 1956, dopo aver pranzato insieme nel vicino ristorante Castelnuovo, rimpetto al Politeama, Lampedusa, « da una poltrona in camicia color tabacco o cenere con maniche corte, dettava con voce chiara, fumava e sudava, interrompendosi spesso anche per alleviare urbanamente la meccanicità » del compito. [ Andrea Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, rio, Palermo 2008, pag. 230] Selle-
Sono pensionato, dopo oltre cinquant’anni di servizio presso l’Amministrazione comunale di Marradi quale capo dell’Ufficio di Stato Civile dell’Anagrafe. Quindi è naturale che io abbia conosciuto bene Dino Campana. Anche perché coetaneo di lui: io del