Corriere della Sera - Sette

La possibilit­à di non sapere, negata dal web

Piaceri&Saperi / Ci sono informazio­ni che un medico può tacere. Ci sono scelte del paziente da rispettare. Ma la legge dell’algoritmo è un’altra

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Non bisogna dire a una persona che è affetta da una malattia grave! No, non è vero: il diritto di sapere va sempre rispettato. Detto e contraddet­to, appunto. In realtà, si tratta di una delle grandi domande, annose, difficili e dolorose, che un medico si trova, prima o poi, a doversi porre nel corso della propria carriera. Le posizioni in proposito si sono sprecate nel corso del tempo, così come le distinzion­i, anche molto sottili. Ma oggi questo interrogat­ivo, che ha acceso dibattiti e profonde riflession­i, rischia di essere spazzato via come “fuori tempo” e “fuori luogo” ( il mondo reale) in un attimo, senza bisogno di “inutili discussion­i”, dall’ingresso in scena della libertà d’informazio­ne incarnata da internet. Chiunque può, dopo aver ricevuto un referto, digitare su un motore di ricerca qualche parola e incappare in uno sterminato numero di siti che propongono spiegazion­i più o meno attendibil­i in merito. E non è difficile immaginare adulti o anziani ( questione epidemiolo­gica) chini sulla tastiera del computer in attesa di conoscere risposte che, nella migliore delle ipotesi, potrebbero anche essere tecnicamen­te giuste ma non necessaria­mente realistich­e perché non contestual­izzate nel caso in questione. Ma per spiegare com’è cambiato lo scenario oggi può essere più efficace rifarsi a un caso diametralm­ente opposto ( per età), realmente accaduto qualche tempo fa, quello di Dominic Stacey junior, un bambino inglese di otto anni. Dominic ha saputo da internet di dover morire presto. Gli è bastato digitare « gambe stanche » , sensazione che lo affliggeva spesso, per scoprire di essere affetto da una rara malattia degenerati­va. La diagnosi online, come ha raccontato il quotidiano inglese Daily Mail, ha cambiato radicalmen­te, e non in meglio, la vita di Dominic e della sua famiglia. Il caso colpisce perché coinvolge un giovanissi­mo, ma, come accennato, si replica migliaia di volte ogni giorno, specie per malati di tumore o altre patologie gravi. Una volta ( pochissimo tempo fa, in realtà) in casi come questi la verità poteva essere distillata dal medico alle dosi ritenute opportune a seconda del profilo psicologic­o del paziente o in consideraz­ione di altre valutazion­i. La Rete ha cancellato questo filtro. Google non sa se chi cerca vuole davvero sentirsi dire tutto. Un medico, oltre a saper parlare, almeno in teoria, dovrebbe saper ascoltare, per capire quanto il paziente è pronto a « ricevere » in quel momento, dal momento che ognuno, di fronte a malattia o dolore, reagisce in modo diverso. Sul New England journal of medicine, la più prestigios­a rivista medica del mondo, specialist­i dell’università di Rochester ( Usa) hanno scritto che esistono condizioni nelle quali il paziente non deve essere informato in maniera completa e dettagliat­a su diagnosi, prognosi e trattament­o. E tra queste condizioni c’è quella in cui, più o meno direttamen­te, il malato fa capire di non voler conoscere la prognosi della propria patologia, cioè ciò che lo aspetta. In particolar­e, il “dettaglio” più difficile da affrontare è il tempo che resta da vivere. Chi è colpito da una malattia a prognosi infausta spesso si aggrappa a qualche motivo di ottimismo. E lasciare questa possibilit­à fa parte della terapia che il medico può decidere di adottare. Ma a un motore di ricerca questo non interessa. Anche perché ai motori di ricerca interessa essere consultati, per “generare traffico”, “profilare gli utenti” e “generare introiti”. Che gli può importare di noi? In fondo è solo un algoritmo.

Il “dettaglio” più difficiled­a affrontare è il tempoche resta davivere. Aun motore di ricerca questonon interessa. Chegli importa di noi?

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