Tenebrose tentazioni totalitaristiche
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Il viaggio del capitano Marlow nelle tenebre dell’Africa non è solo una discesa negli inferi del colonialismo europeo tesa a smascherare l’ipocrisia dei “conquistatori” che in nome di nobili valori umanitari hanno seviziato e sfruttato popolazioni inermi. È anche un viaggio nei meandri dell’anima, nella doppiezza della psicologia umana. Attraverso le parole di Marlow, e dell’altro narratore anonimo, Conrad costruisce un “romanzo breve” interamente avvolto nel “mistero”: in Cuore di tenebra ( pubblicato a puntate sul Blackwood Magazine nel 1899 e in volume nel 1902) l’avventura nell’impenetrabile foresta alla ricerca del mitico Kurtz diventa un’esplorazione nelle oscurità della psiche dell’uomo bianco. Nell’ambigua personalità di Kurtz è possibile ritrovare tutte le ambivalenze che caratterizzano l’imperialismo europeo del tempo: all’uomo geniale ( « Era
« Mettevano le mani su tutto quello che potevano arraffare, per il solo piacere di arraffare. Si trattava propriamente di rapina a mano armata, di omicidio premeditato su vasta scala, e gli uomini ci andavano alla cieca, come fanno tutti quelli che si devono misurare con le tenebre. La conquista della terra, che sostanzialmente consiste nello strapparla a quelli che hanno la pelle diversa dalla nostra […], non è una cosa tanto bella da vedere »
un genio universale » III, p. 96) e animato da generosi ideali ( « era venuto là con un certo bagaglio di idee morali » I, p. 40; « Ogni sua azione brillava di bontà » III, p. 102) si sovrappone l’immagine di un colonialista spietato ( « razziava semplicemente il paese » III, p. 75). Proprio il suo essere cosmopolita allude al suo simbolico ruolo universale. E così anche l’esperienza autobiografica di Conrad ( il viaggio del 1890 nel Congo di Leopoldo II del Belgio, poi raccontato nei Diari del Congo) si trasforma in una più ampia riflessione sulla corruzione della civiltà europea. I buoni propositi ( « un centro per commerciare, certo, ma anche per umanizzare, migliorare, istruire » II, p. 43) vengono sopraffatti dalla rapacità del guadagno ( « Strappare i tesori dalle viscere della terra era il loro unico desiderio, senza scrupoli morali » I, p. 40). Era necessario addentrarsi nelle « tenebre » africane per ripercorrere il corso della storia ( « Risalire quel fiume era come compiere un viaggio indietro nel tempo » II, p. 44) e per ritrovare in quei silenzi, in quelle ombre, in quelle oscurità, frammenti sconosciuti della propria identità: « la selva selvaggia » gli aveva « sussurrato delle cose sul suo conto che lui stesso ignorava » ( III, p. 77). Solo in quell’abisso Kurtz ( si pensi all’altro Kurtz di Apocalypse Now di Coppola e alle atrocità del neocolonialismo americano) vede riflesso il suo « vuoto » e il dramma di una civiltà occidentale imbarbarita, il cui senso sembra racchiudersi nelle sue parole finali: « Che orrore! » ( III, p. 93). Nella tensione tra il “dire” e il “non dire” ( che alimenta l’esperienza personale di Kurtz, il destino della società e lo stesso linguaggio letterario) e nell’impossibilità di raccontare la verità ( la menzogna sussurrata, in chiusura, da Marlow alla fidanzata di Kurtz) si possono però anche intravedere le “tenebre” di tentazioni totalitaristiche: « Aveva la fede, la fede. Poteva credere in qualsiasi cosa. Sarebbe stato un magnifico capo di un partito estremista » ( III, p. 97). Ieri la barbarie della fede nella « razza ariana » , oggi un’Europa smarrita, e disumana, in balia di governanti al servizio di banche e finanzieri e di partiti ( imprenditori della paura) che predicano l’intolleranza.