Corriere della Sera - Sette

La Sicilia di Dacia

/ Un libro racconta l’isola della Maraini attraverso le storie dei suoi libri e della sua Palermo. A cominciare da palazzo Alliata

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Nel 1624 il grande pittore fiammingo Antoon van Dyck era a Palermo, per ritrarre il viceré Emanuele Filiberto. Il 7 maggio arrivò da Tunisi il “vascello della redenzione dei cattivi”: la nave che riportava in Europa i cristiani fatti schiavi dagli infedeli e riscattati. Si diceva che a bordo covasse la peste, ma il viceré ne permise l’attracco. La peste dilagò in pochi giorni. Una donna colpita dal morbo, Girolama La Battuta, ha una visione: santa Rosalia le indica il luogo della propria sepoltura, sul monte Pellegrino. In effetti vengono trovate ossa umane. Ma la pestilenza infuria, e si porta via pure il viceré. Van Dyck non ha più nulla da fare e vorrebbe andarsene, ma nessuno può lasciare la città o entrarvi. Un cacciatore, perduta la moglie, sale sul monte Pellegrino per farla finita, ma Rosalia appare anche a lui, e chiede che i suoi resti siano portati in procession­e per la città. L’ordine della santa viene eseguito, in un assembrame­nto di folla, che anziché alimentare il contagio lo spegne. Palermo è salva, e Van Dyck ha una commission­e. Dipingerà santa Rosalia, la immaginerà, le darà un volto. Per dirla con le parole di Eugenio Murrali, “l’artista dà vita all’iconografi­a della santa eremita del dodicesimo secolo: bionda, candida, lo sguardo molle rivolto al cielo, non grassa ma neppure magra, un angioletto che la incorona di rose e tiene in mano un giglio ( Rosalia, appunto da rosa e lilium, giglio). Ma Van Dyck lascia a Palermo anche un segno più intenso e drammatico: la Crocifissi­one, che si trova in una delle stanze di palazzo Alliata. « Sullo sfondo cupo un Cristo si staglia Palazzo Alliata a Palermo dove hanno vissuto i nonni di Dacia Maraini, Enrico e Sonia, e sua madre, Topazia. luminosiss­imo, nella morte si intravede già la resurrezio­ne, l’energia sulle braccia slanciate di chi riemerge dall’abisso… » . Traggo la descrizion­e del palazzo dal bellissimo libro di Murrali: Lontananze perdute. La Sicilia di Dacia Maraini ( Giulio Perrone Editore). L’autore è uno di quei ragazzi di talento che l’asfittica industria culturale italiana tiene ai margini; ma prima o poi finirà per affermarsi. Eugenio è da anni legato a Dacia Maraini da una di quelle amicizie intergener­azionali rare e per questo preziose. Nel libro rintraccia la Sicilia della scrittrice, che interviene con lettere e poesie, in cui tornano i ricordi di Bagheria, le annotazion­i sull’opera di De Roberto, e riflession­i su La lunga vita di Marianna Ucrìa: la Maraini rivela che non si aspettava molto; è diventato il suo libro più noto e più letto. La Sicilia fa di questi scherzi. E poi c’è palazzo Alliata. Qui hanno vissuto i nonni di Dacia, Enrico e Sonia, e sua madre, Topazia, scomparsa nel novembre scorso a 102 anni, cui il libro è dedicato. Enrico Alliata duca di Salaparuta, allievo del filosofo indiano Krishnamur­ti, amico dell’antroposof­ista Rudolf Steiner, pubblicò un libro dal titolo Cucina vegetarian­a e naturismo crudo, con 1.030 ricette e un secolo d’anticipo sugli chef bio. Un volume scritto sotto il crocifisso di Van Dyck e le immagini dei due santi della famiglia Alliata: san Leone, un crociato morto nel 1274, e san Dacio, arcivescov­o di Milano, morto nel 530. E così scopriamo anche perché Dacia Maraini si chiama così.

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