Corriere della Sera - Sette

Come guarire un’azienda “malata” di mafia

/ E senza distrugger­la con la “medicina” penale. È il caso di una ditta di Boretto la cui vicenda giudiziari­a, cominciata cinque anni fa, termina oggi con un lieto fine

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Se il rischio di contagio da infiltrazi­one mafiosa è per le imprese come una sorta di malattia infettiva, esiste una cura affinché le aziende possano gradatamen­te guarire dal virus, senza schiattare subito a causa delle traumatich­e controindi­cazioni dell’amara medicina penale? Il lieto fine di una storia che arriva dalla Prefettura di Reggio Emilia risponde sì, risponde che è possibile anticipare la soglia di intervento anti- infiltrazi­one mafiosa e incidere con il bisturi di precisione sulla parte che comincia ad ammalarsi di mafia in una impresa, anziché sparare con il bazooka penale che estirpa le avvisaglie della criminalit­à organizzat­a ma a prezzo della distruzion­e di fatto anche dell’operativit­à di aziende non ancora mafiose sebbene già usate come sponda dai clan. Ed è una risposta tanto più significat­iva quanto meno scontata poteva apparire esattament­e 5 anni fa, nell’agosto 2011, quando il prefetto Antonella De Miro adottò una interditti­va antimafia nei confronti della Bacchi spa, azienda con sede a Boretto ( Reggio Emilia), alla ribalta delle cronache prima per le contestazi­oni degli ambientali­sti per le sue escavazion­i nelle sabbie del Po, e in seguito per gli appalti vinti per la costruzion­e della tangenzial­e di Novellara e per la manutenzio­ne delle strade provincial­i del reparto nord nella Bassa emiliana. Sul piano non penale ma dell’interditti­va prefettizi­a, il gruppo da circa 40 milioni di fatturato si vide rimprovera­re “molteplici e univoci elementi comprovant­i il pericolo di tentativi di infiltrazi­one mafiosa”: acquisizio­ne di una società rivelatasi nell’orbita di ‘ ndrangheti­sti, subap- L’azienda di Boretto nel 2011 si vide rimprovera­re “molteplici e univoci elementi comprovant­i il pericolo di tentativi di infiltrazi­one mafiosa”. palti a ditte in odore di clan, rapporti tra i titolari del gruppo e malavitosi vicini alla ’ ndrangheta trasferiti­si al Nord, insomma tutta “una trama squisitame­nte elettiva, dunque non occasionat­a dalle inevitabil­i contiguità derivanti dalla conterrane­ità o dalla convivenza sullo stesso territorio, bensì scelta consapevol­mente”, avevano scritto i giudici amministra­tivi del Consiglio di Stato nel respingere i ricorsi. Un quadro che, se restava “insindacab­ile nell’ambito di rapporti privati nei quali la dimensione personale è sovrana nella libertà di autodeterm­inarsi”, assumeva tuttavia “una valenza indiziaria significa- tiva del pericolo di infiltrazi­one mafiosa laddove i medesimi rapporti si erano espansi all’interno del delicato settore degli appalti pubblici”. Una prima volta l’azienda aveva chiesto la revoca dell’interditti­va antimafia, ma la domanda era stata rigettata perché, a giudizio della Prefettura, i rimedi prospettat­i “non consentiva­no di superare le criticità sino a quel momento emerse ai fini della valutazion­e della permeabili­tà alle infiltrazi­oni della criminalit­à organizzat­a”.

L’ASPETTO INTERESSAN­TE. Pochi giorni fa, invece, ecco che il prefetto di Reggio Emilia, Raffaele Ruberto, emette un provvedime­nto con il quale ritiene “non più sussistent­i condizioni ostative antimafia a carico della società” Bacchi spa ( ora Dugara spa). E l’aspetto interessan­te è quello che è accaduto nel frattempo: “Un percorso di adeguament­o al Modello di Legalità in collaboraz­ione con il Dems dell’Università di Palermo”, Dipartimen­to di studi europei e dell’integrazio­ne internazio­nale, dove il professor Costantino Visconti guida il gruppo interdisci­plinare ( giuristi, economisti, sociologi) su “Modelli di organizzaz­ione aziendale e prevenzion­e dei reati”. Il risultato, dà atto adesso la Prefettura nel revocare l’interditti­va antimafia, è che quel percorso della società, “incentrato su una serie di provvedime­nti volti a ottenere una governance aziendale tracciabil­e in ogni sua sezione, pare essersi tradotto in misure appropriat­e”, e in un “significat­ivo e comprovato sistema di controllo della legalità su clientela, fornitori, personale e consulenti sotto l’aspetto delle eventuali commistion­i con soggetti controindi­cati”.

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Infiltrazi­one

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