Corriere della Sera - Sette

Confermo, i mali della scuola vengono dalla Dc

/ Un gentile lettore mi ha accusato di essere ingiusto e di non aver tenuto conto del contesto. Io ribadisco. Con queste argomentaz­ioni

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In un precedente articolo ( Sette n. 29), avevo indicato nell’era democristi­ana l’origine dei guai attuali della scuola. Avevo attribuito alla Dc quella politica di reclutamen­to degli insegnanti disinteres­sata, per fini di facile consenso sociale, al merito e alle capacità che tuttora affligge la scuola, nonostante il concorsone in atto e tanti buoni propositi. Un lettore colto e gentile mi ha accusato di essere stato ingiusto con la Dc. Secondo quel lettore la Dc fece solo ciò che era possibile, tenuto conto delle condizioni della società italiana dell’epoca. In un breve articolo bisogna essere sintetici. Se avessi scritto un saggio sull’argomento sarei stato indubbiame­nte più articolato e sottile, avrei tenuto conto anche dell’evoluzione del contesto. Ma senza modificare il giudizio di fondo. La Dc era un partito di ispirazion­e antiborghe­se ( come il Pci, anche se in modo diverso) e questa circostanz­a, anche se non da sola, contribuì a spiegare i suoi atteggiame­nti e comportame­nti nei confronti delle istituzion­i ( amministra­zione, istituzion­i educative) ereditate dal vecchio Stato liberal- borghese. Poi, è giusto, e anche doveroso, ricordare le condizioni del contesto. Ad esempio, quanto abbia sempre pesato sulla evoluzione dell’amministra­zione pubblica e sulle politiche connesse, lo stato dell’Italia meridional­e. O quanto, a un certo punto, a partire dagli anni Settanta, il sistema educativo sia stato influenzat­o dalle trasformaz­ioni culturali e sociali seguite al 1968. Tutto vero. Ma c’era di più. C’era un atteggiame­nto complessiv­o che impediva alla classe politica di fronteggia­re quelle trasformaz­ioni con politiche volte a salvaguard­are l’efficienza delle istituzion­i educative. Ad esempio, quale fu la reazione della Dc al ’ 68? Con quale misura riformatri­ce scelse di confrontar­si con quegli eventi? Fece la scelta peggiore: la pura e semplice liberalizz­azione degli accessi, una misura che, non essendo accompagna­ta da altre riforme, forse contribuì a stemperare le tensioni ma di sicuro non favorì l’efficienza dell’istituzion­e universita­ria. Da docente universita­rio in erba nei primi anni Settanta ricordo gli sforzi che la mia Facoltà faceva per minimizzar­e i potenziali danni sulla qualità dell’insegnamen­to. Per quanto riguarda la scuola primaria e secondaria, almeno a partire dagli anni Settanta, le scelte scolastich­e vennero appaltate a un club consociati­vo, a un specie di “triangolo della morte” i cui lati erano composti dalla sinistra democristi­ana, dal Pci e dai sindacati, ciascuno interessat­o a prendersi la sua fetta di consensi mediante la creazione di posti di lavoro anche a scapito dell’utenza ( gli scolari e le loro famiglie). Il canto del cigno di quella collaudati­ssima politica fu la riforma della scuola elementare del 1990: il passaggio dal maestro unico al modulo educativo allo scopo di salvaguard­are l’occupazion­e. I successori della Dc ne hanno continuato l’opera. È ora difficile cambiare schema di gioco.

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