Corriere della Sera - Sette

Pokemon Go uccide la fantasia

/ È la negazione di ogni avventura, di ogni racconto medievale e moderno dove i protagonis­ti sono alla ricerca di qualcosa di straordina­rio

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Ibestiari medievali sono stati per secoli uno strumento importante. Erano atlanti della fantasia, ma anche della conoscenza. Meglio ancora: dei confini della conoscenza. Gli animali fantastici, raffigurat­i e miniati accanto quelli realmente esistenti, erano qualcosa di stupefacen­te. Non erano le fantasie, le leggende, le mitologie a crearli, ma la ferma convinzion­e che da qualche parte, al confine delle terre conosciute un animale immaginari­o potesse esistere, come la Dipsa, che era un serpente piccolo ed estremamen­te velenoso, oppure il Bonnacon, di cui parlano Aristotele e Plinio, ovvero un toro con una criniera di cavallo. L’idea di raggiunger­e luoghi dove si potessero trovare animali fantastici, immaginari, descritti, eppure mai visti, è una costante dell’antichità e del medioevo. Il caso più noto è quello dell’Unicorno: animale dai poteri taumaturgi­ci, capace di guarire dagli avvelename­nti e di farsi mansueto, secondo la tradizione cortese, solo se avvicinato da un giovane vergine. Il mondo antico era un mondo circoscrit­to e limitato. Per quanto si potessero pensare dei confini lontani, esistevano terre e luoghi inesplorat­i. Per quella terra si partiva alla ventura, alla ricerca. Accadeva con gli esplorator­i antichi, e accadeva anche in età moderna e contempora­nea, quando personaggi controvers­i e affascinan­ti come Gurdjeff, mistico e maestro di danze vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, si metteva in cammino per cercare la misteriosa Confratern­ità di Sarmoung: un monastero nel cuore dell’Asia dove avvenivano danze e riti segretissi­mi, e dove i monaci potevano anche essere vecchissim­i, arrivano ad avere 250 anni. Leggende, immaginazi­oni, stranezze tutte diverse. I bestiari, i luoghi fantastici, le terre sognate sono parte della storia del mondo e della civiltà: lì per anni, tra i ghiacciai impervi delle montagne più alte della terra si è raccontato di un ominide temuto e forse aggressivo chiamato Yeti su cui fioriscono leggende da sempre, ma che nessuno ha mai visto. Poi le terre emerse si sono fatte meno enigmatich­e, divenute ormai preda degli scatti di Google Maps, e oggi rimangono solo gli abissi del mare a nascondere animali terrifican­ti, mostri marini come il calamaro gigante capace di rovesciare e attaccare un grande pescherecc­io, o addirittur­a una nave da crociera. Ma il tempo dell’immaginazi­one, il tempo dei bestiari, nonostante il progresso, la scienza e la tecnologia, sembra resistere comunque. Solo che è una immaginazi­one piccola, chiusa, senza orizzonti. Si tratta di Pokemon Go, il giochetto che ormai da settimane fa parlare di sé in tutto il mondo. È la negazione di ogni fantasia, di ogni avventura, di ogni racconto medievale e moderno che mette al centro persone alla ricerca di qualcosa di straordina­rio, impossibil­e da vedere e da scoprire. Questo software che permette di scoprire e catturare i Pokemon, per poi ingaggiare in un secondo tempo battaglie con altri giocatori, è proprio l’esempio di una immaginazi­one ferma e basica, banale e senza forza. Questi animali virtuali occupano gli spazi consueti: gli uffici dove si lavora, le strade che si attraversa­no ogni giorno, i parchi in cui andiamo a fare footing. Per vederli serve lo smartphone: attraverso la realtà aumentata il Pokemon appare sul display del proprio dispositiv­o, e non resta altro che catturarlo. Una cosa che diverte tutti ma che è goffa e malinconic­a. Non si parte per luoghi misteriosi, non si arriva al limite delle foreste, non si offre una vergine all’Unicorno e non si misura l’orma gigantesca dello Yeti. È tutto lì, tra l’androne del condominio e la lavanderia a gettoni. Un tempo la realtà aumentata era quella che raggiungev­i dall’altra parte del mondo. Oggi è lì. Non bastava già l’affollamen­to del pianeta. Aggiungiam­o ora anche i Pokemon a spegnere ogni vera fantasia e ogni avventura.

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