E la pioggia che va
/ Musica e rivoluzione. Una canzone precorre i cambiamenti e la storia tragica dell’alluvione di Firenze. Ma alla fine ritorna il sereno...
L’avvele- dell’epica della seconda metà dei Sessanta. Eccolo: “È la pioggia che va / e ritorna il sereno, / è la pioggia che va”. Tutto chiaro. E lo è a maggior ragione riascoltando e confrontando le parole con quel momento irripetibile legato realmente al rinnovamento. Chi ha vissuto, ricorda. Ricorda l’attesa quasi messianica del cambiamento: si aspetta l’Era dell’Acquario, un’epoca nella quale mai più guerre, mai più rivalità, mai più inimicizie e solo amore. Da allora, si aspetta ancora. Ma sognare non è reato, né tantomeno vietato. Per cui: “Quante volte ci hanno detto / sorridendo tristemente ‘ le speranze dei ragazzi / sono fumo’ / sono stanchi di lottare / e non credono più a niente / proprio adesso che la meta / è qui vicina / ma noi che stiamo correndo / avanzeremo di più! / Ma non vedete che il cielo / ogni giorno diventa più blu? / È la pioggia che va / e ritorna il sereno, / è la pioggia che va”. Dalla vetta della collina del 1966 sembra apparire l’antefatto del mondo nel quale sarà “vietato vietare”, così come si dirà due anni dopo, nella primavera del 1968. 4 febbraio, si vieta il divieto. Proprio così: quel giorno viene abolito “l’indice dei libri proibiti”. Sembra una follia, ma l’Index librorum prohibitorum nasce nel 1558 per volontà di Paolo IV ed è vivo e vegeto nel 1966. Morirà proprio quell’anno, dopo quattro secoli e due Paoli, perché ad abolirlo sarà Paolo VI. Ho raccontato la vicenda de La Zanzara, il giornale del liceo Parini. Siamo sempre a febbraio e gli studenti osano l’inosabile: pubblicano un’inchiesta sulla condizione femminile scoperchiando il vaso di Pandora dell’ignoranza in tema sessuale. Oggi tutto questo fa sorridere, ma ieri era consuetudine quotidiana. In cinquanta anni sono cambiate radicalmente le nostre abitudini, anche se la tendenza al divieto, mai sopita, si riaffaccia di tanto in tanto nella contemporaneità. Certo, a canzoni non si fan Il complesso inglese The Rokes nei primi anni Sessanta. In Italia furono lanciati da Teddy Reno.
Si respira un’attesa quasi messianica del cambiamento: si aspetta l’Era dell’Acquario, un’epoca nella quale mai più guerre, solo amore
rivoluzioni. Ma siamo proprio sicuri? Se per rivoluzione intendiamo la presa della Bastiglia, sono d’accordo con Guccini. Ma se immaginiamo una discontinuità con i costumi del dopo dopoguerra, allora anche le canzoni ci restituiscono una chiave di ( ri) lettura. 1966 a due anni dal 1968. I tanti, fra i ragazzi ascoltano alla radioE la pioggia che va e ne ricantano le parole alle feste, a scuola nei minuti di ricreazione, a casa studiando con i compagni di scuola: “Non importa se qualcuno / sul cammino della vita / sarà preda dei fantasmi / del passato / il denaro ed il potere / sono trappole mortali / che per tanto e tanto tempo / han funzionato / no! Noi non vogliamo cadere / non possiamo cadere più giù / ma non vedete nel cielo / quelle macchie d’azzurro e di blu”. Dal passato, un’istantanea sul futuro prossimo: le parole diventeranno slogan di lì a due anni. E suoneranno involontariamente premonitrici nel momento grave dell’alluvione di Firenze, superata grazie anche a quei giovani, “angeli del fango”. “È la pioggia che va / poi ritorna il sereno”.