1966
« Però non ho mai detto che a canzoni / si fan rivoluzioni / si possa far poesia » , parola di Francesco Guccini ne nata, dieci anni dopo il 1966. Sono solo canzonette è la vulgata diffusa da sempre nel mondo della musica leggera. Eppure le canzoni talvolta creano saldature con la storia, tanto incredibili quanto inimmaginabili. 1966. Negli Stati Uniti Bob Lind pubblicaRemember the Rain e Giulio Rapetti ( Mogol) ne traduce il testo adattandolo nella forma delle canzoni di protesta del periodo. Nasce E la pioggia che va, affidata a The Rokes, complesso inglese e adorato – come tale – dai ragazzi italiani. Si sono imposti al pubblico quasi per caso, prima come musicisti di Rita Pavone, poi con lo slogan della pubblicità dei gelati Algida “C’è un Algida laggiù che mi fa gola”. Saranno bandiera della protesta giovanile raccontando il “mondo vecchio che / ci sta crollando addosso ormai / ma che colpa abbiamo noi”. Ovviamente èMa che colpa abbiamo noi, successo epocale ( Sette 19/ 10/ 2012). Il filone rende e va intercettato per sfruttarne appieno ogni potenzialità. Remember the Rain non contesta, non punta l’indice virtuale contro il mondo dei matusa: si limita semplicemente a considerare come dopo la pioggia inevitabilmente debba tornare il sereno, sorvolando beatamente gli altipiani dell’ovvio meteorologico. Mogol vira con potenza verso il sentire degli adolescenti e esordisce con “Sotto una montagna / di paure e di ambizioni / c’è nascosto qualcosa che non muore / se cercate in ogni sguardo dietro un muro di cartone / troverete tanta luce / e tanto amore. / Il mondo ormai sta cambiando / e cambierà di più / ma non vedete nel cielo / quelle macchie di blu?”. La strofa prepara il ritornello, anch’esso oramai facente parte