Osservate bene Tancredi e Clorinda
/ Un’opera del “barocchissimo” Pietro Ricchi che è stata rubata nel gennaio di quest’anno. Forse mostrarla ne favorirà il ritrovamento
Pittore veramente barocco, versatile, Pietro Ricchi amaramente riappare alla nostra attenzione con una prova di straordinario impegno repentinamente scomparsa. Come si può dare un tale paradosso? L’immagine che qui vedete mostra un elegantissimo Tancredi e Clorinda, di cui conosciamo tecnica e misure ( olio su tela, cm 110x145), e che è stato rubato nel gennaio di quest’anno. Lo rivedo dopo più di vent’anni da quando lo incrociai per la prima volta a Camaiore nella bella casa del pittore Riccardo Tommasi Ferroni. Fra i tanti quadri “antichi” per collaudato mestiere e colto spirito di invenzione del grande pittore moderno, ve ne era uno solo moderno del grande pittore antico. L’ho ripensato spesso con il desiderio di tornare a vederlo dopo la morte di Tommasi Ferroni. Non credo di avergli rivelato, per puro sadismo, l’autore, ma molto lo commentammo, giacché dall’uno capisci l’altro, così consentanei come appaiono, al punto che Riccardo del capolavoro del Ricchi elaborò una impeccabile ( e non perfettamente fedele) copia, più per affinità che per esercizio. Quasi un atto d’amore per Ricchi e una dichiarazione di poetica, di compiaciuta sintonia, e perfino sincronia, per anacronistica elezione. Tommasi Ferroni si misurava con un Seicento semplice, armonioso, classicheggiante come quello del Ricchi. Mi riservavo di pubblicare, come ora faccio, il dipinto, con la sorpresa di fargliene conoscere l’autore. Non ho fatto in tempo, anche se la memoria ogni tanto tornava a quella imprevista scoperta, e in quel così proprio e insieme insolito contesto. Tommasi Ferroni amava, ma non collezionava dipinti (olio su tela, antichi: li dipingeva lui. E aveva casualmente trovato un se stesso del Seicento, come era accaduto a Sciltian con Giacomo Ceruti. Tommasi Ferroni nel 2000 morì, e io non tornai a vedere il dipinto, pur essendomi ripromesso di farlo.
ISPIRAZIONE CLASSICHEGGIANTE. Quando i familiari presero atto della scomparsa durante le feste natalizie, certamente su commissione ( e con chiaro obbiettivo, non essendo così immediatamente percepibile la differenza fra l’artista antico e moderno, nella comune ispirazione classicheggiante), e mi chiamarono per informarmi del furto, ebbi il timore che si trattasse del “mio” Ricchi, benché il nome non risultasse loro di immediata evidenza, forse neppure come ipotesi. Mi dissero di un dipinto antico, per eterogenesi dei fini, rubato in casa di un pittore contemporaneo, e io capii. Forse mostrarlo ne favorirà il ritrovamento. È tra le più riuscite e armoniose composizioni del Ricchi, verso il 1640, al tempo degli affreschi del castello di Malpaga, con la stessa felice trasposizione del mito e del soggetto letterario. Pittore “ardente, pronto e presto”, lo definisce felicemente Marco Boschini, massimo interprete dei pittori veneti del Seicento ( e in parte veneto è il lucchese Ricchi). Dopo aver lasciato giovanissimo la nativa Lucca per Firenze, dove fece l’apprendistato presso Domenico Passignano, intriso di sensibilità veneta, Ricchi, alla metà degli anni ’ 20, ha una esperienza formativa con Guido Reni, nella città di Bologna. Le fonti segnalano il passaggio, nel 1627/ 29 , del “Lucchese”, così veniva chiamato il Ricchi, a Roma, di cui non restano opere. Durante un lungo soggiorno in Francia, il pittore si applica a luminosi affreschi e quadri da cavalletto, prima in Provenza ( Aix- en- Provence, Arles), poi a Lione ed infine a Parigi, mostrando interesse per Simon Vouet. Dalla capitale il Ricchi fuggirà, dopo un duello finito con il ferimento di un gentiluomo. Nel 1634 è nuovamente in Italia, con due significative tappe lombarde: Milano e Brescia. Sono gli anni dei suoi capolavori, anche i più morbosi, con teste tagliate e insanguinate. Il Lucchese chiude le sue peregrinazioni sostando a Padova o a Venezia; l’ultimo approdo è Udine, dove muore nel 1675. Non restano opere precedenti gli anni Quaranta, il vivido momento lombardo del pittore. Nel linguaggio del Ricchi, già negli anni giovanili stimolato, per il luminismo, da artisti come il bolognese Mastelletta, si avverte anche l’influenza del Seicento lombardo ( Procaccini, Cerano, Morazzone). Gli ultimi due decenni di vita sono dedicati soprattutto alla produzione sacra per committenze locali. Ricchi, sempre sontuoso ed esuberante, muore nel 1675.