Theresa May rassicura Belfast
/ Il premier ammorbidisce le sue posizioni sul confine tra le due Irlande
A giudicare dagli echi sulla stampa, Belfast sembra più preoccupata di Dublino sugli esiti che la Brexit avrà sui rapporti tra le due Irlande. Nei suoi incontri con le varie “nazioni” del Regno Unito – ampiamente relazionati su tutti i media britannici, molto meno su quelli irlandesi – Theresa May ha incontrato anche Enda Kenny, primo ministro nordirlandese, e ha fatto di tutto per convincerlo che nessun confine con rigidi protocolli sarà istituito tra le due parti dell’isola. Missione difficile, se non impossibile, considerando che due giorni prima del referendum la stessa May aveva giudicato inconcepibile che, in caso di Brexit, non venisse creato un valico controllato. «Se uscissimo dalla Ue», aveva detto alla «con conseguenti tariffe sulle esportazioni, come possiamo ipotizzare che ci sia libera circolazione tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, Paese che rimane nella Ue?». All’interno dello stesso partito conservatore c’è però oggi chi si chiede se non sia possibile stralciare in qualche modo la situazione irlandese, consentendo una forma “morbida” di confine. Sembra questa la voce che May pare ora disposta ad ascoltare, irritando però i “duri e puri” del suo partito, come John Redwood, che si è epresso sul suo blog contro ogni forma di “lassismo”. Ma il primo ministro britannico dovrà anche fare i conti con il gruppo civico – che include l’ex ministro della Giustizia David Ford, il leader dei Verdi Steven Agnew e il leader socialdemocratico Colum Eastwood – costituitosi in Irlanda del Nord subito dopo la sua visita e intenzionato a rivolgersi all’Alta Corte di Belfast e in ultima istanza anche alla Corte europea aggrappandosi a ogni cavillo legale nel caso in cui May non applichi le deroghe richieste. Alla fine dell’incontro con Enda Kenny la dichiarazione comune afferma la volontà di voler mantenere le relazioni con la Repubblica d’Irlanda il più strette possibile. Il commercio tra il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda vale circa un miliardo di sterline alla settimana e produce intorno ai 400 mila posti di lavoro. Forse il primo ministro britannico si rammarica di aver pronunciato quelle parole prima del referendum; ora sembra proprio costretta a rimangiarsele.