Corriere della Sera - Sette

Commercio:

Mezzo di scambio per il di cervo. Fino a rame, argento e oro. E all’attuale conio

- Di Giovanni Vigo

In una curiosa miniatura medioevale sono raffigurat­i due contadini che si scambiano una calzatura con un piccione. L’immagine classica di un’economia naturale fondata sul baratto, si direbbe. Sennonché nel palmo della mano sinistra del contadino che offre il piccione compare in bella vista una moneta. La ragione è evidente: il valore della calzatura era superiore a quello del piccione e per avere la calzatura occorreva aggiungere una moneta. Questa miniatura testimonia come, anche in tempi nei quali prevaleva il baratto, senza l’impiego della moneta gli scambi avrebbero incontrato non di rado ostacoli insormonta­bili. Viene in mente, a questo proposito, una bella immagine di Fernand Braudel: « Quando si scambiano merci, si ode subito un balbettio monetario » . Il balbettio al quale allude lo storico francese non aveva necessaria­mente il suono dell’oro, dell’argento o di un altro metallo. Proveniva, invece, dalla discreta presenza d’innumerevo­li mezzi di scambio ( del denaro, potremmo definirli, per distinguer­li dalla moneta coniata) che servivano da millenni per regolare i commerci. Si trattava di beni che non si deteriorav­ano facilmente, che potevano essere utilizzati per scambi successivi, o tenuti di scorta per servirsene in futuro. Potevano essere conchiglie, lance, scudi, ocra rossa, pelli; oppure riso, sale, tè e grano. O ancora la seta di cui rigurgitav­ano i magazzini imperiali cinesi. Dall’altra parte dell’Atlantico, gli aztechi ricorrevan­o ai panni di cotone, alle piume pregiate e ai chicchi di cacao che costituiva­no « l’ingredient­e di base della loro bevanda preferita: la cioccolata » . L’espansione dei commerci rendeva sempre più urgente la creazione di una moneta affidabile sia come mezzo di scambio, sia come misura del valore dei beni scambiati. La soluzione ideale sarebbe stata la coniazione di monete metalliche uniformi, controllat­e da un’autorità pubblica garante della loro affidabili­tà. Una soluzione che avrebbe risolto molti problemi e che tuttavia arrivò soltanto al termine di un lungo percorso.

Abramo e Sara. L’uso dei metalli come mezzo di pagamento iniziò molto prima della loro coniazione. Nelle valli del Tigri e dell’Eufrate, dove il commercio era particolar­mente intenso, s’incominciò a usare il rame, l’argento, e in seguito anche l’oro, fin dal III millennio a. C. Il metallo veniva fuso in lingotti standard, con peso uniforme e con il medesimo contenuto di fino. Il loro impiego era così diffuso che ben presto si avvertì l’esigenza di fissare il rapporto fra il valore dei lingotti. Il loro controllo fu dapprima delegato ai sacerdoti e ai commercian­ti, e in seguito allo Stato che vi apponeva il proprio sigillo. Nell’Egitto dei Faraoni, la prima testimonia­nza di pagamenti effettuati in argento, rame e oro – che venivano pesati ogni volta – risale al 2200 a. C. circa, ed è scolpita su un monumento di pietra a Giza. Nell’antica Palestina l’uso dei metalli come mezzo di pagamento è evocato in un passo della Bibbia che ricorda come, al ritorno dall’Egitto, Abramo fosse « molto ricco di bestiame, argento e oro » e acquistò un luogo per la sepoltura della moglie Sara per 400

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