Buonismo e cattivismo
La scorsa settimana, in aereo, nella fila davanti alla mia era seduta, in mezzo ai genitori, una ragazzina francese di una decina d’anni. Ingannava il tempo compulsando il suo iPad. Mi si stavano chiudendo le palpebre quando sono stato risvegliato dal gioco a cui la francesina avrebbe dedicato la mezz’ora successiva. Non ne ho capito bene le regole, ma si trattava di un’auto, guidata all’impazzata, che saltava da una strada all’altra di una città tagliando per aiuole, parchi, mercati, e ogni volta facendo cadere come birilli i passanti. Non so se le venivano assegnati punti o penalità per le morti causate, ma la cosa certa è che l’esistenza, in quella cittadina, continuava indifferente, così come la corsa verso chissà quale obbiettivo dell’automobile assassina. Gli esperti di videogiochi mi dicono trattarsi di un passatempo per educande: i più gettonati sono altri, più violenti e incuranti degli “effetti collaterali”, vale a dire stragi, causati al genere umano virtuale che, agli occhi di un ragazzino nativo- digitale, poco si discosta da quello reale. Nemmeno io, maturo bacchettone nativo- analogico, avrei riaperto gli occhi davanti a quello spettacolo se pochi giorni prima non ci fosse stata la tragedia di Nizza. Scopro poi, in occasione di un’altra follia, quella di Monaco di Baviera, che il web frequentato da tutti noi con i tradizionali motori di ricerca non è che un modesto continente in un pianeta molto più vasto dove si consumano, basta conoscerne la chiave d’accesso, i più immondi commerci pedopornografici, di armi, droghe, medicinali contraffatti e altre porcherie. Su questo numero di Sette, Antonio Ferrari ( pag. 34) si chiede perché ci stiamo costruendo un mondo che fa paura e analizza i sintomi di un presente che promette un futuro alla deriva. Aggiungerei che la rivoluzione digitale ha le sue colpe perché non la stiamo gestendo e per ora resta un’immensa frontiera a disposizione di un’umanità deviata fatta di delinquenti singoli od organizzati. Sarebbe però un errore attribuire alla tecnologia più colpe di quante non abbia. Dietro ci sono gli uomini, i loro valori, la loro diseducazione a convivere nel rispetto reciproco. La pace, avendone goduto per un po’ di tempo, per troppi sta diventando un valore inesistente, come l’acqua nei territori dove abbonda. Da almeno trent’anni chiunque faccia ricorso ai buoni sentimenti, al lieto fine, alla solidarietà, alla tolleranza, alla comprensione viene tacciato di “buonismo”, parola pronunciata con valenza dispregiativa. Sono la cattiveria e la violenza fisica e verbale a generare adrenalina e fatturati, la competitività esaperata a selezionare un mondo migliore, come quello ariano dei nazisti, la ricchezza a misurare il successo e la realizzazione. L’alternativa vincente al “buonismo” è il “cattivismo”: guerra sola igiene del mondo, declamavano molti idioti cent’anni fa. E allora, cosa possiamo aspettarci di diverso da quello che sta accadendo? pvercesi@ corriere. it