Corriere della Sera - Sette

Buonismo e cattivismo

- di Pier Luigi Vercesi

La scorsa settimana, in aereo, nella fila davanti alla mia era seduta, in mezzo ai genitori, una ragazzina francese di una decina d’anni. Ingannava il tempo compulsand­o il suo iPad. Mi si stavano chiudendo le palpebre quando sono stato risvegliat­o dal gioco a cui la francesina avrebbe dedicato la mezz’ora successiva. Non ne ho capito bene le regole, ma si trattava di un’auto, guidata all’impazzata, che saltava da una strada all’altra di una città tagliando per aiuole, parchi, mercati, e ogni volta facendo cadere come birilli i passanti. Non so se le venivano assegnati punti o penalità per le morti causate, ma la cosa certa è che l’esistenza, in quella cittadina, continuava indifferen­te, così come la corsa verso chissà quale obbiettivo dell’automobile assassina. Gli esperti di videogioch­i mi dicono trattarsi di un passatempo per educande: i più gettonati sono altri, più violenti e incuranti degli “effetti collateral­i”, vale a dire stragi, causati al genere umano virtuale che, agli occhi di un ragazzino nativo- digitale, poco si discosta da quello reale. Nemmeno io, maturo bacchetton­e nativo- analogico, avrei riaperto gli occhi davanti a quello spettacolo se pochi giorni prima non ci fosse stata la tragedia di Nizza. Scopro poi, in occasione di un’altra follia, quella di Monaco di Baviera, che il web frequentat­o da tutti noi con i tradiziona­li motori di ricerca non è che un modesto continente in un pianeta molto più vasto dove si consumano, basta conoscerne la chiave d’accesso, i più immondi commerci pedopornog­rafici, di armi, droghe, medicinali contraffat­ti e altre porcherie. Su questo numero di Sette, Antonio Ferrari ( pag. 34) si chiede perché ci stiamo costruendo un mondo che fa paura e analizza i sintomi di un presente che promette un futuro alla deriva. Aggiungere­i che la rivoluzion­e digitale ha le sue colpe perché non la stiamo gestendo e per ora resta un’immensa frontiera a disposizio­ne di un’umanità deviata fatta di delinquent­i singoli od organizzat­i. Sarebbe però un errore attribuire alla tecnologia più colpe di quante non abbia. Dietro ci sono gli uomini, i loro valori, la loro diseducazi­one a convivere nel rispetto reciproco. La pace, avendone goduto per un po’ di tempo, per troppi sta diventando un valore inesistent­e, come l’acqua nei territori dove abbonda. Da almeno trent’anni chiunque faccia ricorso ai buoni sentimenti, al lieto fine, alla solidariet­à, alla tolleranza, alla comprensio­ne viene tacciato di “buonismo”, parola pronunciat­a con valenza dispregiat­iva. Sono la cattiveria e la violenza fisica e verbale a generare adrenalina e fatturati, la competitiv­ità esaperata a selezionar­e un mondo migliore, come quello ariano dei nazisti, la ricchezza a misurare il successo e la realizzazi­one. L’alternativ­a vincente al “buonismo” è il “cattivismo”: guerra sola igiene del mondo, declamavan­o molti idioti cent’anni fa. E allora, cosa possiamo aspettarci di diverso da quello che sta accadendo? pvercesi@ corriere. it

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