Cosa resterà della Rete
/ I milioni di follower di Sofia Viscardi e le ottanta copie del PortoSepolto di Giuseppe Ungaretti
In uno dei suoi bellissimi interventi su Dagospia, Giampiero Mughini ha messo a confronto il milione e mezzo di follower di Sofia Viscardi tra Instagram e Twitter – « numeri che non vogliono dire assolutamente nulla » , scrive Mughini - e le ottanta copie della prima edizione del Porto Sepolto di Giuseppe Ungaretti. ( È una storia, quella del Porto Sepolto, che mi commuove ogni volta che ci penso. Ungaretti, volontario, bocciato al corso ufficiali perché “inadatto al comando”, fece tutta la Grande Guerra da soldato semplice, accanto ai fanti diciottenni che lo adoravano e gli portavano lo zaino e il fucile durante le marce. Un giorno, al termine di una marcia molto lunga, Ungaretti si lasciò cadere a terra per riposare. Passò un tenente, e lui non lo salutò. Per molto meno si poteva essere fucilati. Invece il tenente, che si chiamava Ettore Serra, fu incuriosito da quel fante dall’aria quasi anziana e gli chiese chi fosse. « Sono un poeta » , rispose fiero Ungaretti. « Un poeta? Tu? E che poesie scrivi? » . Ungaretti si tolse un foglio di tasca e l’altro vi lesse: « Mi illumino d’immenso » . « Hai scritto altre poesie? » . Ungaretti tirò fuori altri fogli scritti a matita in trincea. In pratica affidò a uno sconosciuto la sua vita. Serra chiese una licenza, tornò a casa, e fece pubblicare le ottanta copie del Porto Sepolto). Oggi molti tra i nostri ragazzi non leggono Ungaretti. Comprano i libri di Favi- J, che non sono poi libri ma quadernetti su cui farsi fare un autografo. Eppure Ungaretti non è difficile. « E forse io solo so ancora che visse » è un verso comprensibile a tutti. Come « lasciatemi qui come una cosa posata e dimenticata » . Non sappiamo chi e cosa resterà degli youtuber, dei blogger, delle star della rete. Chiunque abbia un pubblico va preso sul serio. Molti sapranno reinventarsi, rinnovarsi, mantenere un contatto con i coetanei. Altri, forse la maggior parte, spariranno. Ma il cambiamento cui stiamo assistendo è epocale. Sta saltando un metodo di trasmissione della cultura tra le generazioni che funzio- A sinistra, la youtuber Sofia Viscardi, che ha appena scritto un romanzo. A destra, il poeta Giuseppe Ungaretti. nava da secoli, se non da millenni. Non che le generazioni passassero il tempo a leggere; molti erano analfabeti. Ma i libri erano considerati una cosa nobile, importante; e l’ignoranza era qualcosa di cui vergognarsi, non di cui vantarsi; da nascondere, non da rivendicare. Noi neocinquantenni siamo stati ad esempio l’ultima generazione ad avere una formazione classica, certo superata: il libro Cuore, Pinocchio, Salgari, Verne; l’Iliade, l’Odissea; Manzoni, Dante; i francesi, i russi. A un certo punto molti di noi si sono fermati. Mi ci metto anch’io: non sono mai stato un grande lettore di narrativa. Ma non abbiamo mai pensato che un videogame, o la recensione di un videogame, potesse sostituire la letteratura e forse anche la realtà. Invece è quello che sta accadendo. Il ’ 700 è stato il secolo del teatro. L’ 800 è stato il secolo del romanzo. Il ’ 900 è stato il secolo del cinema e, nella seconda metà, della televisione. In forme diverse, in tutti e tre i secoli la vita pubblica è stata segnata dai giornali, oltre che ovviamente dalla musica. Il nostro è il secolo della Rete. E la Rete è un frullatore che fa tutto a pezzetti e li getta in aria come coriandoli. Articoli, film, trasmissioni televisive, canzoni, arie liriche vengono spezzettati e condivisi. Questo rappresenta una straordinaria opportunità, almeno per chi ha gli strumenti per co- glierla. Ma a teatro o all’opera il più giovane ha cinquant’anni ( con le eccezioni che confermano la regola), l’editoria vacilla, i cinema chiudono, l’industria culturale si riconverte al ritmo frammentato e seriale che la rete impone. Mantenere la concentrazione per più di due minuti è diventato un problema; figurarsi seguire un film che dura due ore, o leggere un libro che ne dura molte di più. Il prodotto più fruito sul web e in genere sulle nuove piattaforme, però, non sono i frammenti della vecchia cultura o dello spettacolo. Sono i videogame. Non a caso “Candy Crush” è stato venduto per l’incredibile somma di sei miliardi di dollari. ( Anni fa ho scritto una rubrica su IoDonna critica sull’abuso dei videogiochi. Sul sito sono arrivati 400 messaggi: 5 di mamme preoccupate; 5 di persone che mi insultavano ma argomentavano – il concetto era che i videogame sono ormai interattivi e quindi più creativi di un film o di una trasmissione tv o di un libro –; 390 erano persone che mi maledicevano con parole di una violenza e di un odio impressionanti. Erano tutti maschi, nessuno di loro aveva letto la rivista, tutti commentavano il post che avevano ricevuto. Non mi sono offeso, perché in realtà non ce l’avevano con me; difendevano la loro passione). Ognuno passa il tempo libero come crede; l’importante è la consapevolezza che stiamo perdendo tutti qualcosa.