L’ingiustizia sociale di deduzioni e detrazioni
/ L’Istat (dal 2012) denuncia che le spese detraibili dalle imposte risultano più elevate per le classi più alte di reddito. Perché non introdurre l’“imposta negativa”?
Anche solo da una semplice passeggiata in qualunque città, è ormai evidente che la povertà relativa ed assoluta sono la grande emergenza italiana del 2016. Il punto è capire se la società, non solo la politica, intenda reagire o se tutti aspettano sempre che sia qualcun altro a dichiarare che il re è nudo: che il Paese imperniato su legami di uguaglianza di opportunità, solidarietà fra le persone e un livello dignitoso di vita per tutti non esiste più. Prima di tutto un po’ di pedanteria. Per “povertà relativa” gli specialisti indicano la condizione di famiglie o individui con un potere d’acquisto inferiore al 60% della media di un Paese, ma con “povertà assoluta” si descrive la situazione di chi non può permettersi beni e servizi fondamentali: un’alimentazione abbastanza ricca e variata, il riscaldamento, cure mediche essenziali. Fa riflettere che l’incidenza della povertà assoluta in Italia, che riguarda circa quattro milioni di persone, sia decrescente con l’età ( i giovani fra i 18 e i 34 anni sono i più esposti, con una diffusione su oltre il 10% di questa fetta di popolazione) e stia anche evolvendo in modo differente nelle diverse fasce di età: secondo l’Istat nell’ultimo anno è diminuita solo fra gli ultra 65enni ( dal 4,5% al 4%), mentre è aumentata per tutte le altre generazioni e più che in ogni altra proprio per i giovani adulti fino ai 34 anni. Ma proprio questo squilibrio per età getta le basi per il seguito: bassa natalità, declino demografico, insufficienti contributi nei sistemi di welfare, debolezza dei consumi e dunque della crescita economica. Lasciare che i giovani si impoveriscano significa soffocare le radici di una società. Se questa è la situazione, dobbiamo chiederci se la struttura fiscale nel Paese sia adatta a correggerla. La risposta è che la aggrava. Non facciamoci ingannare dall’ap- parente progressività dell’imposta sui redditi, perché essa è attenuata e distorta da altri fattori meno discussi. Prendiamo per esempio le oltre 841 deduzioni e detrazioni via via introdotte nel sistema fiscale italiano; è una vera e propria foresta pietrificata per cui ogni sgravio deliberato una volta viene automaticamente percepito dai beneficiari come un diritto acquisito e pertanto intoccabile.
RICCHI E POVERI. Peccato che molte di queste misure oggi siano un strumento di ingiustizia sociale fra ceti e fra generazioni. L’Istat, l’Istituto statistico nazionale, vi ha dedicato un approfondimento nel 2012 e da allora non molto è cambiato. Nel 2012 risultava che le detrazioni per le famiglie, ossia le spese detraibili dall’imposta sui redditi, risultavano nettamente « più elevate per le classi più alte di reddito » . Il motivo? Per circa due terzi erano detrazioni da spese mediche o in farmacia, ma poiché esse sono spesso uguali per tutti l’impatto su chi guadagna di più e può permettersi di spendere di più in cure è più elevato. Il restante 33% di detrazioni era poi concentrato sulle ristrutturazioni immobiliari, e anche qui tende a beneficiarne ( ancora) di più chi ha un ampio patrimonio di case o ville al mare ed è in grado di pagarsi costose opere di miglioramento e valorizzazione dei suoi beni. C’è un altro dettaglio: una quota importante delle possibili detrazioni che spetterebbero ai più poveri vanno perdute, perché questi ultimi guadagnano così poco che parte degli sgravi li portano sotto la soglia di incapienza alla quale non sono più tassati. Mentre i ceti medio- alti approfittano di tutte le loro detrazioni, secondo l’Istat il 10% degli sgravi dei meno abbienti va perduto ( il 13,5% per chi ha meno di 35 anni). Le agevolazioni così negate agli italiani disagiati valgono ogni anni 2,6 miliardi di euro, mentre chi guadagna centinaia di migliaia di euro può ristrutturare la sua casa delle vacanze ( in parte) a spese di contribuenti più deboli di lui. Per rimediare a questa ingiustizia nell’ingiustizia basterebbe introdurre anche in Italia la cosiddetta “imposta negativa”, un credito fiscale per chi è meno abbiente da far valere negli anni. Ma non se ne parla. Queste distorsioni del sistema tributario sono assenti dal dibattito, delle forze sociali così come della politica. Siamo davvero certi che avere quattro milioni di poveri “assoluti” ci levi davvero il sonno in questo Ferragosto?