Corriere della Sera - Sette

Noi non ci saremo

/ Da The Rokes all’alluvione di Firenze. Una coscienza ecologica, anche nelle canzoni. E Francesco Guccini scrive un brano ad hoc per i Nomadi

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città sono garantite da contatti radio, tra i quali quelli dell’informazio­ne della Rai. Nei bollettini meteorolog­ici del mattino, diffusi dalla radio si parla di “piovaschi in Toscana”: per gli ascoltator­i italiani su Firenze pioviggina, ma nemmeno poi tanto. Quando Marcello Giannini, giornalist­a storico della sede Rai fiorentina, parla con Roma, da Roma c’è incredulit­à: come è possibile tutto questo? Le alluvioni in città sono un ricordo lontano, di quando i fiumi scorrevano liberi e non contenuti dagli argini. Con gli argini, i fiumi sono stati addomestic­ati e resi innocui anche a costo di trasformar­li in canaloni simili a fognature a cielo aperto nei quali l’acqua scende apparentem­ente tranquilla. 4 novembre 1966, a Firenze le cose non stanno così. L’Arno si è svegliato di notte trasforman­do in incubo la fine del sonno dei fiorentini. Giannini si rende conto di questo già dalla mezzanotte ed è incredulo dell’incredulit­à arrogante e straripant­e da Roma: dalla capitale si crede ai piovaschi e si pensa ad un’esagerazio­ne fiorentina. Giannini va in diretta radiofonic­a alle 14.30. Cala il suo microfono fuori dalla finestra e fa sentire la furia dell’Arno in giro per le strade: « Ecco » , dice, « non so se da Roma sentite questo rumore. Bene: quello che state sentendo non è un fiume, ma è via Cerretani, è la via Panzani, è il centro storico di Firenze invaso dalle acque » . Tutto questo, nella seconda metà del secolo XX, nato nell’illusione di vedere l’uomo dominare la natura ed estendere il suo potere nello spazio, a partire dalla conquista della luna. 1966. Qualcuno prende posizione verso questo delirio di onnipotenz­a, sviluppato al riparo dell’ombrello della scienza. Adriano Celentano, da Sanremo, racconta di un ragazzo nato a via Gluck e tornato là dopo decenni senza riuscire a riconoscer­e la strada oramai cementific­ata della sua infanzia. I Nomadi, il gruppo fondato nel 1963 da Beppe Carletti e Augusto Daolio. Da allora hanno pubblicato 78 album. Francesco Guccini scrive per i Nomadi Noi non ci saremo, una canzone apocalitti­ca e profetica al tempo stesso: “Vedremo soltanto una sfera di fuoco / più grande del sole, più vasta del mondo / nemmeno un grido risuonerà. / E catene di monti coperte di neve / saranno confine a foreste di abeti / mai mano d’uomo le toccherà / e solo il silenzio come un sudario si stenderà / fra il cielo e la terra per mille secoli almeno / ma noi non ci saremo, noi non ci saremo”. È l’immagine in versi cantati del day after, il giorno dopo l’olocausto nucleare, esorcizzat­o, ma immaginato possibile in quel 1966 della Guerra fredda e del riarmo. Esiste la speranza della resurrezio­ne, segnata da un “ma”: “E dai boschi e dal mare ritorna la vita / e ancora la terra sarà popolata fra notti e giorni di sole farà le mille stagioni / e ancora il mondo percorrerà gli spazi di sempre / per mille secoli almeno, ma noi non ci saremo, noi non ci saremo”.

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53 anni di carriera

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