Corriere della Sera - Sette

Ideologie

Ha colto i limiti delle e raccontato le debolezze degli italiani

- Di Marzio Breda

Tutto è rimasto com’era, nella casetta rossa sul Piave dove Goffredo Parise ha vissuto le sue ultime stagioni. Tre stanze al piano terra e altrettant­e in quello di sopra, che si raggiunge con una ripida scala. La panca è la stessa, come il camino, le sedie, il tavolo, l’Olivetti Lettera 22 dai tasti consumati con la quale scriveva e il telefono che usava per dettare gli elzeviri al Corriere. Ecco il letto in cirmolo, con i romanzi di Tolstoj, che leggeva e rileggeva, posati sul comodino. Ecco gli stivali in cuoio grasso che s’infilava per i vagabondag­gi sul greto del fiume. Ecco la finestrell­a che aveva fatto aprire all’altezza del cuscino, a un palmo dal nido di un upupa, per osservare le montagne e il cielo stando disteso. Anche all’esterno, pochissimo è cambiato: identico lo sfondo di acque verde chiaro con gorghi azzurri, uguali le rocce e la geometria pettinata delle coltivazio­ni di mais, mentre sotto il salice e i gelsi il frinire delle cicale oggi si sovrappone a canti, musiche e letture poetiche in sua memoria. È semplice e affettuoso il modo che Salgareda e Ponte di Piave hanno scelto per onorare Parise a trent’anni dalla scomparsa. Un modo che non gli sarebbe dispiaciut­o. Così come avrebbe apprezzato il garbo con cui Moreno Vidotto ed Enzo Lorenzon, attuali proprietar­i, curano la casa, che aprono ai visitatori con intorno un selvatico « piccolo Eden profumato di sambuco » . Qui lo scrittore aveva acceso il focolare nel 1970. Un relitto edilizio, forse il rifugio di una famiglia di “zattieri”, scoperto per caso e sottratto al naufragio, dove starsene in solitudine tra un viaggio e l’altro. Fino a quando, nel 1982, la sua salute peggiorò drasticame­nte, costringen­dolo alla dialisi dopo diversi interventi al cuore. Doveva, dunque, spostarsi in un posto più adatto alle terapie quotidiane, e lo trovò nella barchessa di una villa nel centro del paese, restaurata e divenuta adesso una biblioteca- museo, mentre in giardino sono sepolte le sue ceneri. Anche qua, a Ponte di Piave, la gente lo ricorda con iniziative senza la pompa retorica che lui detestava: testimonia­nze di amici, presentazi­oni di saggi e inediti, la ristampa di alcuni racconti sul « Veneto barbaro di muschi e nebbie » che aveva battezzato come « la mia patria » .

Spirito anarcoide. Andrea Zanzotto, che abitava qualche chilometro più su lungo il Piave, nella valle del Soligo, si rammaricav­a della cortina di silenzio calata su Parise dopo la morte, avvenuta il 31 agosto 1986. « Un periodo di latenza, editoriale e critica, è inevitabil­e per tutti, dopo la scomparsa » , diceva. « Quello sceso su Goffredo è però intollerab­ilmente lungo, e rischia di relegare nell’amnesia opere cruciali » . Ora, grazie anche all’attivismo della Fondazione Parise- Fioroni creata da Giosetta, la pittrice romana che gli è stata amorosa compagna,

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