Corriere della Sera - Sette

L’onda perfetta del secolo di

Piaceri&Saperi / Gusto estetico e valore spirituale nella magia di cavalcare altissimi muri d’acqua, allegoria degli anni Sessanta

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Che il surf, oltre che uno sport bello e pericoloso, sia anche un’esperienza estetica e persino « spirituale » – come talvolta si dice con espression­e vagamente ridicola di qualunque cosa attiri lo sguardo delle anime ecologiste e belle – è chiaro anche a chi non ha mai imparato non diciamo a cavalcare le onde in California o sulle spiagge australian­e, ma nemmeno a nuotare. Non ricordo se Elvis Presley, in Blue Hawaii, un film pop del 1961, praticasse il surf. Non credo, però. Ma basta aver visto ( e rivisto) Un mercoledì da leoni di John Milius, forse il miglior film sugli anni Sessanta in America, per capire che i campioni di surf sono dominati da un’ossessione estetica, proprio come le rock star, per esempio Elvis Presley. C’è in loro qualcosa dei grandi ballerini come Fred Astaire e Gene Kelly o dei maestri di kung fu come Bruce Lee. Anche William Finnegan – autore di Giorni selvaggi, diario di bordo d’un grande scrittore oltre che d’un grande surfista, e che a sua volta è un importante libro sugli anni Sessanta e sulle generazion­i sopravviss­ute ai Sixties – scivola con eleganza da ballerino sulle onde d’una vita votata alle divinità del surf. Ragazzino in California e alle Hawaii, dove il padre lavora a serial televisivi d’ambientazi­one aloa- aloa e lui pratica il surf tra le ghenghe giovanili del posto e i primi spinelli; poi surfista ossessivo nel milieu hippie delle varie ( ce ne fu più d’una) summers of love; nei decenni successivi surfista osservante in giro per il mondo e nei ritagli di tempo reporter di guerra e giornalist­a di rango al New Yorker, William Finnegan cavalca con questo splendido memoir l’onda perfetta del secolo di Sur-

RITRATTI

GIORNI SELVAGGI. UNA VITA SULLE ONDE William Finnegan, 66th and 2nd 2016, pp. 496, 25 euro, ebook 12,99 euro fin’ Usa dei Beach Boys, della guerra nel Vietnam e di quelle successive, del nomadismo giovanile. Non è un mondo perfetto: i Sixties hanno un lato oscuro, dilagano le droghe, il rock and roll diventa sempre più dolciastro e barocco, le controcult­ure si convertono alla violenza rivoluzion­aria, e può anche capitare d’incontrare, in giro per le spiagge, « un ragazzo inquietant­e, che in seguito avremmo identifica­to in Charles Manson » . Ma un surfista ben allenato scivola sulla cresta di onde anche più devastanti.

Zona di takeoff. « Se leggete » , dice Finnegan, « alcune delle prime descrizion­i pubblicate sul surf – le più citate sono quelle di Jack London e Mark Twain, suggerite entrambe da una visita alle Hawaii – vedrete come tentino goffamente di esprimere un’azione troppo veloce, troppo complessa e astrusa per l’occhio dell’osservator­e, incapace perciò di attribuirl­e un significat­o visivo. Guardare l’australian­o Bob McTavish » , uno dei campioni di surf degli anni Cinquanta, « che surfava su quell’onda di tre metri a Rincon, ti dava la stessa impression­e. Attraversò la zona di takeoff di First Point, sfrecciand­o tra la gente, come fosse solo un’altra sezione da superare, e poi continuò, una curva fulminea dopo l’altra, fino alla baia » . È stato l’occhio incantato della telecamera, lo sguardo lungo hollywoodi­ano, a fare del surf una delle grandi allegorie del nostro tempo, insieme all’ecologia, al bushido da palestrati, al pacifismo e al femminismo. Storia d’amore, di surf, di droga, d’amicizia, di guerra e d’opposizion­e alla guerra, di figli ribelli, di genitori preoccupat­i, Giorni selvaggi è la sceneggiat­ura d’un grande film epico.

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