L’evoluzione, una storia di fraintendimenti
C’era una tradizione, quasi uno slogan, nel raccontare le scoperte di un nuovo ominide nella storia dell’evoluzione; era quella di citare “l’anello mancante”. L’idea di base, infatti, era di una successione lineare di soggetti che alla fine portavano all’uomo. La definizione non era solo un’invenzione giornalistica che aiutava a costruire titoli ad effetto. Anche blasonati scienziati avevano sposato la tesi che una specie sostituiva la precedente. Tutto sbagliato: l’evoluzione è un albero con intricatissimi rami. La linearità era una semplicistica illusione. Se ce ne fosse stato bisogno lo dimostrava anche l’ultima scoperta dell’Homo naledi in Sudafrica, l’anno scorso, capace di complicare ancora di più lo scenario. Ma questo non è l’unico fraintendimento della storia umana. Si potrebbe poi aggiungere l’interpretazione dei creazionisti che offrono spiegazioni contrarie all’evidenza della scienza. Inoltre, resistono dei misteri come la scoperta della capacità di produrre strumenti lignei mezzo milione di anni prima del primo fossile di un individuo del genere Homo. Alla fine emerge l’eccezionalità della nostra specie, come racconta magnificamente questo libro di Henry Gee, senior editor della rivista Nature, introdotto da Telmo Pievani.