Corriere della Sera - Sette

Il gatto, nel bene e nel male

Sacro per gli egizi, maligno durante il Medioevo. Ha un alone magico

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Affascinan­o le mummie di gatto egizio esposte in musei archeologi­ci. Sono altere, avvolte nelle loro bende, con nastri colorati al collo e occhi disegnati da inchiostro. Le bestiole lì racchiuse hanno fatto la storia del gatto egizio e dei nostri gatti che da loro derivano. Nella fertile piana del Nilo i granai colmi di frumento si infestavan­o di roditori. I gatti selvatici locali attratti dall’inesauribi­le terreno di caccia arrivavano in quantità. Amati e considerat­i protettori delle case, col tempo furono elevati a simboli divini. Bastet, dea egizia dalla testa di gatto, era l’incarnazio­ne felina della divinità e ogni gatto era lei. Erano animali sacri che era proibito uccidere e quando morivano li mummificav­ano e presso ogni mummia, come viatico, qualche topolino rinsecchit­o. Poi, con la decadenza egiziana, avviene la svolta del destino del gatto. È l’era del predominio di Roma, un centinaio di anni prima di Cristo. I gatti si posso- no esportare, commerciar­e. I mercanti fenici li introducon­o in Europa e qui il raffinato gatto domestico egizio con tanta storia alle spalle incontra il cugino, il gatto selvatico europeo. Forse avviene anche un po’ di ibridazion­e, e forse no. Ma penetrato nella nostra cultura, da simbolo divino positivo, passa a incarnazio­ne di Ecate, dea del mondo dei morti e poi addirittur­a del demonio e delle streghe. Il culmine è, come noto, il Medioevo: processi di stregoneri­a mandano al rogo donne innocenti insieme a gatti altrettant­o innocenti. Uccidere gatti, simbolo di maligne divinità, entrò in molte tradizioni popolari. Al solstizio d’estate, ad esempio, si usava fare un falò di gabbie di vimini contenenti gatti, così come si mantenne a lungo il rito crudele di sacrificar­e un gatto per festeggiar­e la fine del raccolto. La storia del gatto è quella che l’uomo gli ha ritagliato addosso. Rimane interessan­te capire perché non ha mai perso ai nostri occhi quell’alone magico e soprannatu­rale che tuttora permane.

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