L’umana avidità secondo il Virgilio portoghese
Testo fondatore del mito nazionale portoghese, I Lusiadi raccontano l’avventuroso viaggio di Vasco da Gama in India attraverso il Capo di Buona Speranza ( 1497- 1499) e ricostruiscono parallelamente le eroiche imprese di Luso ( « Questo che vedi, è Luso: il nome ha dato/ di “Lusitania” al mio paese amato » , VIII- 2) e del popolo lusitano. Pubblicato a Lisbona nel 1572, questo poema epico ( in cui si ritrovano echi dell’Odissea, dell’Eneide e dell’Orlando furioso) valse a Camões il riconoscimento di Virgilio portoghese. Qui storia ( i conflitti con i Mori e con i Castigliani, le conquiste di nuovi territori), geografia ( la navigazione, le tempeste in mare, i luoghi, gli animali e le piante), miti pagani ( il consiglio degli dèi, l’ostilità di Bacco e il sostegno di Venere) e finzioni poetiche ( l’Isola degli
« Vedi del mondo intorno i reggitori: nessuno nel ben pubblico s’impegna: l’unico amor che accende i loro cuori è di sé sol, come Filàucia insegna. E della reggia ecco i frequentatori: come dottrina veritiera e degna vendono adulazion, la qual consente mal che si mondi il grano ora fiorente »
Amori) vengono abilmente miscelati per cantare, al ritmo di briose ottave ariostesche, l’amore dei vari personaggi per la loro patria. Ma, all’interno di questa fantastica epopea, non mancano amare riflessioni sulle contraddizioni e sulle opacità della società del tempo. I novelli Argonauti, infatti, sacrificano i nobili ideali del loro viaggio all’avidità del commercio e del profitto ( « E se tu vuoi con patto d’alleanza,/ d’amicizia, di vera e sacra pace,/ scambi fruttuosi compiere ad oltranza/ potrà con questo regno tuo ferace,/ che crescerà in ricchezza e in abbondanza/ ( suda per aver ciò l’uomo sagace)./ Tutto succederà rapidamente/ a tuo profitto ed a sua gloria ingente » VII- 62). Così come alla corruzione dell’oro non resistono né gli esseri umani, né i regni ( « L’oro smantella solide fortezze,/ trasforma in traditori i veri amici;/ alti spiriti induce alle bassezze,/ consegna i comandanti ai lor nemici,/ corrompe le integerrime purezze,/ onore e fama tratta da artifici,/ arriva a depravare anche le scienze,/ gl’intelletti accecando e le coscienze » , VIII- 98) e nemmeno i religiosi ( « e pur coloro che all’Onnipotente/ si votano, conduce su false orme/ il perfido e tenace corruttore/ che d’onestà si mostra col colore » , VIII- 99). Quando l’avidità del guadagno, poi, colpisce anche i governanti si distrugge il « bene pubblico » ( « Vedi del mondo intero i reggitori:/ nessuno nel ben pubblico s’impegna » ) e si accrescono i furti, la tirannia e le disuguaglianze sociali: « E coloro che ai poveri certezza/ dar dovrebbero d’alta carità,/ amano sol l’imperio e la ricchezza,/ simulando giustizia e integrità;/ la turpe tirannia, l’iniqua asprezza/ ordine chiamano e severità:/ leggi in favor del re solo si fanno,/ al popolo si accresce solo il danno » ( IX- 28). Camões sa bene che – nonostante l’ingratitudine dei signori: « E neppure, mie Ninfe, bastò tanta/ miseria, cui mi vollero ridotto/ color che la mia lira innalza e canta,/ per i versi pagando tale scotto » ( VII- 81) – i poeti hanno bisogno dei potenti. Ma sa anche che la vera poesia non può essere al servizio della Filàucia ( dell’egoismo fatto persona): « Né credere potreste, o Ninfe, voi,/ che il suon della mia lira abbia per fine/ d’esaltare chi pensa a sé e ai suoi,/ contro le leggi umane e le divine » ( VII- 84).