L’Italia arranca: ricominciamo dall’università
/ Se la demografia ristagna e la produttività è debole bisogna fare un salto di qualità e togliere ai giovani la sfiducia nell’istruzione
uante volte l’abbiamo visto. È una sorta di eterno ritorno in forma triviale. Arriva di solito con un dato macroeconomico, e senza che sia successo niente che in apparenza lo giustifichi: l’Italia si trova indietro. Lo è in compagnia di questo o quel Paese che si alterna con lei, l’altro ieri la Grecia, ieri la Finlandia, ora la Francia. Ma l’Italia è invariabilmente lì, presenza fissa da oltre due decenni fra le economie che progrediscono meno in Europa e al mondo. È successo di nuovo questo mese per i dati del secondo trimestre dell’anno e ciò ha dato luogo a una discussione anch’essa non esattamente inedita: i conti della finanza pubblica che non tornano; il credito difficile delle banche; il dilemma dei consumi deboli delle famiglie e quello dell’export che non trascina il resto dell’economia. Forse è il caso per un momento di spostare il punto di osservazione. Quando tutto questo succede per così tanto tempo, più di una generazione, può essere utile guardare ai fattori fondamentali che sostengono la crescita nel lunghissimo periodo: oltre le oscillazioni legate a una tempesta di Borsa, e oltre persino gli choc più profondi dovuti a fenomeni storici come la crisi dell’euro. Questi fattori sono essenzialmente due: la dinamica della demografia e quella della produttività complessiva di un sistema. In primo luogo di quanto aumentano o diminuiscono gli abitanti di un’economia, i suoi consumatori e produttori, e qual è la loro età; quindi la capacità delle imprese, di azionisti, manager e lavoratori di generare più valore nello stesso tempo. Se la demografia ristagna o regredisce come sta succedendo in Italia e la dinamica della produttività è la più debole del mondo occidentale da due decenni, è difficile che possano ridare vitalità a un Paese qualche bonus fiscale, un graduale aumento della flessibilità nei contratti
QCaso praticamente unico fra i Paesi a reddito medio-alto, in Italia le iscrizioni all’università sono diminuite negli ultimi anni. di lavoro a tempo indeterminato o una ripresa internazionale. Entrambi, demografia e produttività, sono temi esistenziali dell’Italia di questi anni e legati fra loro perché una manodopera che invecchia di rado diventa più dinamica. È un’opera immane spostare la traiettoria di un transatlantico da 1.640 miliardi di euro di fatturato, da oltre 2.200 miliardi di debito pubblico e da 60,5 milioni di abitanti la cui età mediana è di 45 anni ma cresce ogni mese. Il fatto che richieda tempo non significa che si possa rinviare, ma l’opposto. C’è per esempio un tema sul quale è urgente interrogarsi, perché si tratta di una vera anomalia internazionale. È al cuore del doppio dilemma di demografia e produttività: ci riteniamo ( a ragione) un Paese di profonda cultura, ma oggi gli italiani in media sono relativamente poco qualificati in maniera formale nel confronto europeo. In termini di popolazione l’Italia è un grande Paese dell’Unione, paragonabile a Francia, Gran Bretagna e Germania. Ma se guardiamo alla popolazione dei laureati siamo un piccolo Paese, paragonabile all’Olanda per dimensioni. Se poi guardiamo alla popolazione dei nuovi laureati siamo demograficamente ancora più piccoli e destinati a diventarlo sempre di più: caso praticamente unico fra i Paesi a reddito medio- alto, le iscrizioni all’università sono diminuite negli ultimi anni. A metà del prossimo decennio la Cina o lo Zimbabwe potrebbero avere più laureati dell’Italia sul totale della popolazione, quasi il 30%. Difficile così compensare con l’aumento di produttività il declino della demografia italiana. Come iniziare a rimediare? Forse guardando alla radice del problema.
SPIRALE AL RIBASSO. Purtroppo per un giovane oggi decidere di studiare non è in apparenza economicamente molto razionale, e ancora meno lo è per una giovane. Secondo stime dell’Ocse ( Education at a Glance, 2015) alla fine della sua vita una donna italiana che si laurea avrà guadagnato, al netto di tutto, in media circa 50 mila euro in più rispetto a una diplomata delle superiori: quando questa donna sarà alle soglie della pensione, avrà potuto pagarsi una stanza in più in un appartamento di una grande città. È un rendimento della laurea pari alla metà della media dei Paesi europei. Per un uomo italiano questo rendimento è maggiore, ma sempre di un terzo sotto alle medie europee. Per i giovani in Italia gli incentivi ad investire in studi che aumentino la loro produttività sono bassissimi, ma proprio questa sfiducia nell’istruzione ci chiude in una spirale al ribasso. Forse dovremmo ripartire da qua. Soffriamo di un problema di lungo periodo, servono soluzioni sullo stesso orizzonte.