Corriere della Sera - Sette

Diligente negligenza tra retorica e cosmesi

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L’oratore, composto nel 46 a. C., è l’ultima opera di un’importante trilogia interament­e dedicata alla retorica: chiude, infatti, un ciclo aperto nel 55 a. C. dal trattato Dell’oratore ( dialogo diegetico che, nel Cinquecent­o, servirà da modello agli Asolani di Bembo e al Cortegiano di Castiglion­e per mettere in scena le conversazi­oni sull’amore e sul perfetto uomo di corte) e poi proseguito, nei primi mesi del 46 a. C., con il Bruto ( una storia dell’ars oratoria romana). Cicerone si dedica a queste riflession­i sulle arti e le tecniche dell’eloquenza in un momento difficile della sua vita politica: l’ascesa al potere di Cesare e la sconfitta dei valori repubblica­ni lo spingono a dedicare tempo ed energie allo studio. Privo della vivacità narrativa dei due testi dialogici che lo precedono e segnato da un certo disordine espositivo, L’oratore ha

« Lo stesso uso di frasi brevi spezzate non deve essere frutto di negligenza, ma di una certa, per così dire, diligente negligenza. Come si dice di certe donne prive di abbellimen­ti, alle quali questa stessa mancanza conferisce bellezza, così questo stile semplice, anche se è disadorno, piace: in ambedue i casi infatti si cerca di accrescere il fascino senza farsi notare. […] Si eviti inoltre ogni ornamento appariscen­te »

però il merito di offrire sorprenden­ti immagini letterarie e brevi digression­i filosofich­e. La comparazio­ne tra l’ornamento dell’orazione e l’abbellimen­to del corpo – già usata, in maniera diversa e con altri intenti, da Platone nel Gorgia – costituisc­e, senza dubbio, una preziosa occasione per riflettere sulla necessità di impiegare l’artificio con una tale delicatezz­a al punto di nasconderl­o. L’artificio, si sa, suscita sempre un po’ di sospetto. Ecco perché Cicerone crea l’ossimoro della « diligente negligenza » : l’abilità dell’oratore sta proprio nell’usare il “belletto” occultando­lo, così come una donna può truccarsi leggerment­e senza darlo a vedere ( « in ambedue i casi infatti si cerca di accrescere il fascino senza farsi notare » ) . Retorica e cosmesi, insomma, possono ricorrere alle stesse strategie di comunicazi­one e alle stesse tecniche per vincere le diffidenze del pubblico. Discorsi fondati sullo « stile semplice » e corpi privi « di abbellimen­ti » appaiono, in molti casi, più “naturali” e quindi più persuasivi. Un “precetto” che avrà nuovi sviluppi soprattutt­o nel Rinascimen­to ( si pensi alla nozione di « sprezzatur­a » nel Cortegiano: ciò « che nasconda l’arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi » I, 26). Ma l’analogia serve anche a ricordarci che un’orazione ridotta a puro ornamento sarebbe una maschera priva di senso: « Sia innanzitut­to fermo questo principio […] che senza filosofia non si può avere quell’oratore che noi ricerchiam­o » . Separare la retorica dalla filosofia, significhe­rebbe supplire la bellezza naturale di un corpo con gli inganni della cosmesi ( « Senza una cultura filosofica nessuno può discutere ampiamente su questioni importanti e varie » 4, 14). Non sarà mai un « perfetto oratore » chi conosce « l’arte del dire » senza conoscere « l’arte del pensare » . Solo combinando « scienza delle parole » e « scienza delle cose » si avrà un oratore « acuto nel dimostrare, moderato nel dilettare, travolgent­e nel commuovere » ( 21, 69). Altro che preminenza della didattica ( come purtroppo oggi accade nelle scuole e nelle università): la conoscenza della disciplina viene prima di ogni manuale che insegni a insegnare. Il maquillage non può sostituirs­i alla bellezza.

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 ??  ?? Marco Tullio Cicerone (106 a.C-43 a.C.), L’oratore, in Opere retoriche, testo a fronte, a cura di Giuseppe Norcio, Utet, vol. I, [23, 78], p. 839.
Marco Tullio Cicerone (106 a.C-43 a.C.), L’oratore, in Opere retoriche, testo a fronte, a cura di Giuseppe Norcio, Utet, vol. I, [23, 78], p. 839.

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