Gli scout aiutano la causa
/ Abu Mazen vuole rafforzare il loro ruolo, riconosciuto anche all’estero
Gli scout palestinesi si sono riuniti per la prima volta nel 1912 alla scuola St George di Gerusalemme. Ventiquattro anni dopo i ragazzini in divisa con il basco rosso hanno interpretato fino in fondo i simboli militareschi, prendendo parte alla rivolta araba contro il Mandato britannico. Con la nascita dello Stato ebraico il movimento perde il riconoscimento dell’organizzazione che raggruppa le associazioni di tutto il mondo. Da allora (1948) fino al febbraio di quest’anno il gruppo non partecipava ai campi globali. L’adesione come membro ufficiale alla World Organization of the Scout Movement fa parte della strategia sostenuta dal presidente Abu Mazen. Che vuole vedere il nome Palestina, e la sua bandiera, inserito nell’albo degli organismi internazionali: dal voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha garantito il ruolo di osservatore permanente (come quello dello Stato del Vaticano) alla adesione alla Corte internazionale di giustizia all’Aja. Così i ritrovi degli scout diventano un’occasione per i comizi politici. Alle celebrazioni per la riammissione nella Wosm hanno partecipato il raìs e il suo primo ministro Rami Hamdallah: hanno ringraziato i 162 Paesi che con voto unanime hanno decretato il reinserimento, le votazioni via Internet sono durate tre mesi. Jibril Rajoub, già temuto capo dei servizi di sicurezza che adesso guida le federazioni sportive e giovanili, ha rilanciato nel discorso l’idea degli scout come movimento nazionalista: «L’obiettivo è rafforzare il ruolo di questi giovani nella lotta per la causa palestinese». L’organizzazione non vuole rianimare solo i gruppi in Cisgiordania, anche nella Striscia di Gaza (dove dominano dal 2007 i fondamentalisti di Hamas, rivali di Abu Mazen) e nei campi profughi in Libano. La speranza è di permettere ai ragazzini di continuare a viaggiare: a luglio otto scout sono stati in Polonia per il primo campo condiviso con i giovani europei.