Corriere della Sera - Sette

Lo scempio del mondo

- di Pier Luigi Vercesi pvercesi@ corriere. it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Le parole sono superflue davanti allo scempio di un terremoto che miete vittime a caso. Hanno solo senso se concedono un alito di sollievo al dolore dei sopravviss­uti. Le altre parole sono quelle di sempre, di incredulit­à di fronte a un Dio, per chi ci crede, così spietato, disumano. Anzi, così “umano”, capace di falciare con indifferen­za – a decine, centinaia, migliaia – quelle che per ognuno di noi sono invece il tutto, vale a dire le vite. Così fanno gli uomini da sempre, con guerre, sopraffazi­oni, egoismi, ingiustizi­e, indifferen­ze. Gli antichi greci, per trovarne un senso, rappresent­arono gli dei come entità arse dagli stessi furori umani, come a dire che l’ingiustizi­a non ha bisogno di essere commessa da un uomo per realizzars­i. Ma sono riflession­i sterili, elucubrazi­oni che portano lontano, perché la spiegazion­e che vorremmo non arriverà mai, se non in termini scientific­i, di esecuzione meccanica. Noi, invece, avremmo bisogno di credere che la giustizia e il bene abitano da qualche parte e prima o poi giungerann­o a governare il mondo. Purtroppo, questo mondo ce lo dobbiamo governare da soli, con i comportame­nti che hanno consentito all’umanità di non soccombere, vale a dire rialzarsi quando si è caduti, ricostruir­e quanto è andato distrutto, trovare la forza dentro alla disperazio­ne, osservare ciò che accade a noi attruibuen­dogli lo stesso valore se accade agli altri. Ecco perché sono più utili il silenzio, la riflession­e, la comprensio­ne. Mentre sfogliavo i giornali con le drammatich­e immagini di Amatrice e degli altri paesi distrutti, ho pensato a un libro letto qualche anno fa e sono andato a riprenderl­o. Lo scempio del mondo è il titolo e autore è un grande storico olandese vissuto tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del ’ 900: Johan Huizinga ( il suo saggio Autunno del Medioevo fece epoca). L’ha scritto nel 1942, in esilio mentre l’Europa era devastata dalla furia nazista. Già molto anziano, non potendo accedere alle bibliotech­e e agli archivi frequentat­i nella sua vita di storico, cercava nei ricordi e nell’esperienza appigli per immaginare come la vita avrebbe dovuto ricomincia­re, ripartendo su un binario più stabile. Li trovò in un’opera giovanile di Dante, il Convivio. Al quarto capitolo del quarto trattato il poeta scrive: « Lo fondamento radicale de la imperiale maiestade, secondo il vero, è la necessità de la umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice… » . Dante elaborava per primo il concetto di Civiltà arricchend­olo dei valori morali che all’antichità romana mancavano. La sua “felicità”, compito dei governi, non passa per il possesso, la ricchezza o le comodità, bensì attraverso lo spirito e l’intelletto. Riguardand­o le immagini di Amatrice, queste restano parole. Ma riflettend­o in silenzio su Amatrice e sui mille altri disastri, umani e “divini”, a cui assistiamo ogni giorno, possono diventare spiragli di luce.

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