Corriere della Sera - Sette

Lezione di Olimpiadi

/ Rio 2016 è stata un disastro logistico ma ha dimostrato che i Giochi ormai devono essere a misura d’uomo. Se la Raggi ci crede, Roma può farcela

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La logistica dell’Olimpiade di Rio è stata la più disastrosa a memoria d’uomo. Un misto di burocrazia nordica e di inefficien­za latina. Visti signori in divisa del Cio vagare in lacrime nottetempo attorno al parco olimpico, sbarrato ai taxi da una delirante ordinanza dello sciagurato sindaco della “cidade maravilhos­a”, mentre Suv dai vetri oscurati sfrecciava­no indisturba­ti verso affari certamente leciti. Va detto che era la prima Olimpiade sudamerica­na: non si poteva pretendere né il gigantismo di Pechino, né lo sforzo masochista di Atene, né la grande dimostrazi­one di cultura sportiva di Sydney e più ancora di Londra, con il tennis a Wimbledon, l’ippica a Greenwich, il nuoto di resistenza a Hyde Park, il canottaggi­o sul Tamigi, il calcio aWembley e il beach- volley a Whitehall, a metà strada tra il Parlamento e Trafalgar Square. Da allora Londra è diventata non a caso la città più visitata al mondo; Roma non è tra le prime dieci. Il Brasile non ha una cultura sportiva; ha una cultura calcistica. Questo spiega sia il magro bottino della nazione ospitante, sia il vuoto in molti impianti. Si è fatto di tutto per tenere la gente normale lontano dal parco olimpico, e ci si è riusciti. La fatica per i cronisti è stata improba ( per mettermi in cattiva luce un giornale ha scritto che stavo in un hotel a cinque stelle; in realtà stavo con gli altri inviati del Corriere in un residence che di stelle non ne ha neppure una, ancora in costruzion­e, in mezzo al nulla e lontano da tutto). Ma, ripeto, un’Olimpiade non si giudica da questo; anche se le code di atleti per prendere il pullmino non si erano davvero mai viste. Il Brasile può comunque dire di avercela Il Colosseo illuminato per il 50° anniversar­io delle Olimpiadi di Roma 1960. fatta. E ha confermato che ormai l’era del gigantismo olimpico è finita. Nessun Paese che non sia un regime ansioso di affacciars­i al mondo e di annunciare la propria supremazia prossima ventura può pensare di spendere le cifre con cui i cinesi costruiron­o i Giochi più grandiosi di ogni tempo. In questa ottica, Roma può giocare le proprie carte. Ma è fondamenta­le che la sindaca Virginia Raggi ne sia convinta. Non è un Paese, né tantomeno un governo, che chiede l’Olimpiade; è una città. Madrid ad esempio ci prova da sempre e non c’è mai riuscita. Roma avrebbe ottime possibilit­à: è una città conosciuta in tutto il mondo, in confronto a Rio è un modello di efficienza e di sicurezza, ha luoghi meraviglio­si che una casta arcigna e autorefere­nziale di mandarini delle bella arti vorrebbe chiudere al pubblico ma sarebbero splendidi scenari olimpici, come già nel 1960, quando la maratona arrivò sotto l’arco di Costantino. Luoghi e nomi che parlano a tutto il mondo. Il punto è coinvolger­e tutta la città. Reclutando volontari in ogni quartiere, creando posti di lavoro, coinvolgen­do le associazio­ni, organizzan­do per tempo corsi di lingue ( a Rio in pochi tra i volontari parlavano inglese, nessuno parlava francese lingua olimpica per eccellenza, nessuno parlava spagnolo; in compenso parecchi parlavano italiano, per ascendenze familiari o per soggiorni nel nostro Paese). Roma è una città orgogliosa: non aspetta altro che occasioni di riscatto. Purtroppo prevale a volte una mentalità accidiosa, per cui in Italia non si può fare nulla: non opere pubbliche perché rubano tutti, non grandi eventi perché c’è sempre qualcuno che ci guadagna. Ma ragionando così come finanziere­mo il reddito minimo garantito?

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Ipotesi Giochi 2024

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