Corriere della Sera - Sette

Gli opposti destini dei viaggi della speranza

/ Due bimbi venuti dal mare: uno per trovare medici che possano curare il fratellino in Egitto, l’altro ucciso in una galleria ferroviari­a. La vita ci dà un’altra lezione

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Un fortunato decimo di secondo in più o in meno, una controvers­a frazione di punteggio nel voto della giuria, la casualità di un imprevisto che azzoppa o esalta: a parità di storie olimpiche, è cinico ma innegabile che la differenza tra una grande storia, che resta scolpita nella memoria di tutta una comunità, ed una storia invece negletta, che come sabbia cancellata dalla marea nessuno saprà persino se sia mai esistita, spesso passa dal vincere o perdere “quella” gara che fa di “quella” storia la storia di “quella” vita. È molto poco decouberti­ano ammetterlo anche alla fine delle Olimpiadi, figurarsi prendere atto che purtroppo funzioni così pure nella vita. Basta guardare gli opposti destini estivi dei viaggi della speranza di due ragazzini mediterran­ei in Toscana: Ahmed e Y. A. Y. Ahmed è un bambino egiziano di 13 anni che, con addosso quasi soltanto la fotocopia del certificat­o medico del fratello Farid, ha cercato di attraversa­re il mare con un barcone e raggiunger­e l’Italia. Perché? Per trovare medici che potessero operare il fratellino affetto da una carenza di piastrine nel sangue e impossibil­itato a curarsi in patria dove l’intervento sarebbe costato una somma ( 5 mila euro) irraggiung­ibile per i genitori contadini. La fortuna ha arriso a questa sua “gara” per la vita del fratello, nel senso che sul barcone Ahmed non è finito fra i sommersi ma tra i salvati del Mediterran­eo, è riuscito ad approdare nell’isola di Lampedusa e qui a raccontare la sua storia, che tramite l’attenzione del Corriere fiorentino ha presto fatto breccia in tutta Italia. Politici, amministra­tori locali toscani e cittadini se la sono presa a cuore, e così è stata Il piccolo Ahmed: la sua storia è stata resa nota dal e il fratellino Farid è stato portato a Firenze per essere curato. organizzat­a una soluzione per trasportar­e Farid in Italia attraverso un ponte aereo, e poi curarlo a Firenze all’ospedale pediatrico Meyer ( in collaboraz­ione con i medici di Careggi) accanto ai familiari alloggiati in un appartamen­to della Fondazione Tommasino Bacciotti. « Era stato terribile vedere dimettere mio fratello dall’ospedale perché mio padre non aveva i soldi per pagare le cure e per l’operazione » , ha detto Ahmed, « ora il mio sogno è vedere mio fratello giocare con me a calcio e correre insieme senza aver paura che svenga perché non riesce a stare in piedi » . Chissà invece quale fosse il sogno del coetaneo di Ahmed trovato morto quasi negli stessi giorni d’agosto all’interno della galleria Vaglia dei treni ad Alta Velocità, nel Mugello. Anzi, che fosse un coetaneo di Ahmed si è per la verità scoperto soltanto due settimane dopo la morte, ed è stata una sorpresa svelata dalle impronte digitali: arrivavano infatti da lontano, perché corrispond­evano a quelle prese in Sicilia l’ 11 luglio a un bambino sudanese di 14 anni, A. Y. A, sbarcato coi barconi a Pozzallo e in quel marasma collocato in una comunità per minorenni a Ragusa dalla quale si era allontanat­o per cercare di andare dove voleva andare. Un “dove” ignoto, sia nella meta sia nella ragione. Tranne che era un qualche “dove” a Nord. Per risalire il quale il ragazzo doveva aver pensato che il modo migliore – per riuscirci, per non smarrirsi, per non farsi bloccare e magari rimpatriar­e – fosse camminare lungo quei binari ferroviari. Usati come bussola di chissà quale destinazio­ne finale: forse l’aiuto promesso di un lontano parente, forse un brandello di ricordo di racconto di qualche amico che ce l’aveva fatta, oppure il nulla programmat­o e invece soltanto l’idea in sé di un altrove settentrio­nale come direzione.

RISUCCHIAT­O DALL’ALTA VELOCITÀ La sua storia non si saprà mai. Perché, in questa sua “gara”, ha perso proprio quando il podio non era più un miraggio e la parte più difficile ( lo spaventoso viaggio da migrante dal Sudan all’Italia) sembrava superata: dentro la galleria il bambino sudanese non è stato investito da un treno sui binari, ma al passaggio di un Frecciaros­sa probabilme­nte risucchiat­o dallo spostament­o d’aria contro la parete quasi alla fine del tunnel a San Piero a Sieve. E risucchiat­a è finita così anche la sua storia. Nemmeno uscita dalle terre del Mugello. Proprio mentre quella del suo coetaneo egiziano, analoga nella molla ma differente solo nell’alea dell’esito, faceva il giro d’Italia.

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Lieto fine

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