Corriere della Sera - Sette

Attivisti

Non si esprimono con la protesta ma coinvolgen­do i cittadini in eventi e spettacoli che puntano a mutare la percezione di sé e della politica

- Testo e foto di Daniela Cavini

Nivin usa le bibliotech­e per combattere la povertà in Egitto; Selim danza per disinnesca­re la paura del corpo in Tunisia; Mahmoud fa teatro di strada per dar voce ai beduini: sono i ragazzi della riva Sud, oppongono i blogger ai reclutator­i religiosi; sfidano la censura, l’intolleran­za. L’esercito. Portano libri dove scarseggia anche il pane, osano mettere sul palco coloro cui la vita ha tolto tutto perché recitando se stessi riscoprano la propria umanità. Hanno il coraggio di opporre l’ironia del palcosceni­co ai fucili dei soldati o alla censura dei burocrati. Due volte eroi del quotidiano: perché fanno cultura per cambiare il mondo, e perché la fanno quasi a mani vuote, a colpi di creatività in un deserto di pregiudizi e intolleran­ze. Lavoratori della conoscenza, li trovi sempre in piazza quando ci sono da abbattere i dittatori, attaccati ai social per reclamare diritti, denunciare violazioni. Se cultura è il collante nel rapporto fra singolo e comunità, loro sono costanteme­nte in prima fila, determinat­i a non cedere. A rivendicar­e il proprio posto in un mondo accerchiat­o dal fondamenta­lismo. Minoranza testarda e sognatrice, sta nella loro forza tutta la speranza di cambiament­o di società stremate dal tramonto delle primavere arabe, e oggi assediate dalla censura religiosa. Ma vive.

Una mano dall’Europa. Nivin, Mahmoud, Selim. Ma anche Tala, Zeinab, Yousef…. Li trovi insieme ad Amman, in Giordania, crocevia di antichi popoli e rifugiati di tutte le epoche. È qui che l’Europa li convoca per un corso di formazione, una di quelle occasioni in cui un esperto ti viene a raccontare il segreto di far durare un progetto e di trarne un qualche guadagno. Si chiama MedCulture, è un programma regionale finanziato dall’Unione europea, promuove la cultura come vettore di libertà di espression­e e sviluppo economico, in società che hanno un terribile bisogno dell’una e dell’altro. « Qui sulla riva Sud del Mediterran­eo è in atto una battaglia sotterrane­a combattuta su molti fronti, contro il crescente integralis­mo, ma anche il razzismo della riva Nord » , racconta Christiane Dabdoud Nasser, capo progetto. « Siamo qui a sostenere questi ragazzi, a dar loro gli strumenti, le conoscenze per migliorare quello che fanno, per creare reti. Talvolta mi chiedo se abbiamo davvero qualcosa da insegnare: con la loro determinaz­ione sono loro a mostrarci cosa vuol dire sviluppare il libero pensiero, rompere gli schemi e generare futuro » . Spettacoli in camera da letto. È quello che fa Selim Ben Safia, tunisino, 28 anni, danzatore e coreografo per la compagnia di danza “Undergroun­d skills”. Ha vissuto a lungo in Francia, poi ha deciso di tornare. Con una missione precisa: prendersi il rischio di diffondere la danza contempora­nea in Tunisia. « Se non lo faccio io, chi può farlo? Nella nostra società le persone hanno spesso paura, pensano che il contempora­neo sia troppo complicato, non si sentono all’altezza. E poi c’è una pressione sociale ancora forte, che vive la narrazione del corpo come una questione religiosa.

« Quando ho interpreta­to la parte di un omosessual­e il pubblico si è infuriato e ha tirato giù le scene. Ma ci riproverem­o »

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