Corriere della Sera - Sette

Lolette, una gran donna: mia madre

Il mio / «Mio padre morì quando avevo 18 mesi», racconta , «e mi ha cresciuto con mille sacrifici»

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C« I grandi spiriti della religione, da Madre Teresa di Calcutta a Giovanni Paolo II, a papa Francesco, che con le parole raggiunge il cuore delle persone, a suor Guglielmin­a, tornata dopo una vita come missionari­a in Africa. Ma è mia madre la mia eroina, donna forte che ha superato con dignitosa efficienza i grandi ostacoli della vita » .

Racconta.

« Non ho conosciuto mio padre, Giuseppe, negoziante di stoffe a Firenze. I miei si erano sposati nel 1960, nel ’ 61 sono nato io, nel ’ 62 ( io avevo 18 mesi) lui è stato colpito da un tumore ai polmoni. Per questo io non fumo. Un ricordo ti farà capire la forza di mia madre. Quando avevo 14 anni è apparso, sul tavolo di casa, un pacchetto di Muratti. Lei mi chiama e dice: “Carlo, prima che ti facciano fumare gli amici, ti faccio fumare io. Prova…”. Ha acceso lei la mia prima sigaretta, poi mentre stavo aspirando, aggiunse: “Ricordati che il tuo babbo di sigarette è morto”. La lezione ha funzionato. E ti fa capire quanto sia stata brava mia madre, che mi ha guidato per 40 anni, morendo nel 2002 a 81 anni » .

Come si chiamava?

« Era unica anche nel nome: Lolette, forse un errore di trascrizio­ne all’anagrafe di Livorno. Doveva essere Colette, perché Il primo corso di degustator­i di caffè per non vedenti si è svolto a Torino a metà luglio. « Ed è stato un successo » , dice Ivano Zardi organizzat­ore del corso e presidente della Polisporti­va Uici Torino Onlus ( Unione Italiana Ciechi Ipovedenti). « Soddisfatt­i i partecipan­ti, soddisfatt­i i responsabi­li aziendali. Tutti hanno scoperto qualcosa » . E se quella dell’assaggiato­re diventasse una profession­e? La vista ci condiziona e influisce sul giudizio. « A me piace dire che la vista acceca » , racconta Maurizio Gaido, uno dei partecipan­ti al corso e nefrologo pediatrico ( in pensione dal 2015) mio nonno, amico di Mascagni, aveva visto un’operetta in quella città toscana e s’era invaghito di un’attrice con quel nome esotico. A Lolette, vedova e madre, erano rimasti solo gli occhi per piangere. Quel poco che i miei avevano era evaporato per le cure mediche e i viaggi della speranza. In quell’agosto del ’ 62, dopo il funerale, lei rientrò nella nostra casa di due stanze in affitto in zona Rifredi, a Firenze, con me in braccio. Nella cassetta della posta ha trovato 500 lire. Per lei questi soldi provvidenz­iali li aveva messi Santa Rita in risposta alle sue preghiere, in realtà forse era stata la mano di un vicino di buon cuore. Segni come questi le hanno dato la forza per rimboccars­i le maniche e tirare avanti senza mai farmi sentire l’assenza di mio padre » .

Che cosa si è inventata per tirare avanti?

« Aveva tirato fuori dal cassetto un vecchio diploma di ostetrica preso durante gli anni di guerra e s’era messa a lavorare come infermiera. Lavorava di notte, mentre io ero affidato a una zia. E, se capitava, non rifiutava di fare la tata dei bambini o la commessa in una cartoleria sotto casa. Insomma faceva di tutto e intanto mi insegnava le basi della vita vera: l’onestà. Il mio ricordo di Lolette è un invito a riscoprire le tante figure eroiche che ci sono a fianco nella vita di tutti i giorni » .

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