Corriere della Sera - Sette

Fichi d’India, oltre la polpa c’è di più

/ Un tempo dato ai maiali e ai bovini, questo frutto è composto in prevalenza da buccia e spine. Ma, all’interno, è pieno di fibre

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Sui muri a secco di Sicilia, assolati dal torrido sole d’agosto, occhieggia­no schiere di piante succulente delle “ficopali”, sulle cui cime maturano strani fichi, punteggiat­i di spine: i fichi d’India. Ma l’India che oggi noi conosciamo come tale non ha nessuna attinenza. Su finire del XV secolo, probabilme­nte intorno al 1493, la spedizione di Cristoforo Colombo tornò a Lisbona e tra le tante novità alimentari portò in Europa dalle “Indie” ( ovvero l’America scambiata per le Indie) un cactus dai frutti spinosi: il fico d’India. Originario del Messico, dove è chiamato Nopalli e la sua figura è parte integrante dello stemma della Repubblica messicana. È una pianta perenne alta fino a due- tre metri, appartiene alla famiglia delle cactaceae genere opuntia ficus- indica, ha le foglie trasformat­e in spine e rami trasformat­i in cladodi verdi (“pale”) compressi e succulenti, che i messicani trattano e consumano come verdura. Il frutto è una bacca allungata di circa 6 cm cosparsa da fascetti di brevissime setole pungenti. Esistono varietà distinte sulla base di diversa spinosità e colore del frutto. Il colore della polpa varia a seconda delle cultivar, cioè del genotipo: può essere giallo- zolfo nella varietà Surfarina, bianco paglierino in quella Muscaredda, rosso nella varietà Sanguigna.

Sbollentat­o e impanato. La pianta si moltiplica facilmente sotterrand­o le singole pale in qualsiasi terreno privo di ristagno d’acqua, attecchisc­e anche in terreni non adatte alle colture perché in pendenza, rocciosi e scarsi di terriccio. Le sue radici penetranti e diffusissi­me captano umidità e nutrimenti anche a grandi distanze. Per secoli il fico d’India è stato una risorsa per gli allevament­i animali. Ai maiali venivano dati i frutti scadenti e le bucce e, in anni con scarsità di foraggio, le foglie più tenere ripulite si davano in pasto al bestiame bovino. Alcuni “monsù” siciliani ( cuochi raffinati delle famiglie nobili) ogni tanto, nel periodo giusto raccogliev­ano le nuove pale tenere e succulente ( nopalitos per i messicani), poi le pulivano aprendo le più grosse, quindi le sbollentav­ano leggerment­e in acqua salata, e in ultimo le passavano nell’uovo per essere impanate con la mollica di pane e quindi fritte ( sic!). Il loro sapore e la loro consistenz­a ricorda lievemente quello delle melanzane, ma lievemente dolciastro. Un etto di frutti fornisce 53 calorie. Contengono una grande dose di acqua ( 83%), con una buona dose di zuccheri ( 13%) e tracce di proteine e grassi. Su cento grammi di frutto intero, però, se ne ricavano da mangiare solamente 64 grammi, il resto è buccia spinosa che va rimossa ed eliminata. Contiene anche una discreta dose di fibra vegetale. Tra le vitamine, quelle più importanti sono la C, pari a 2 mg, che svolge un’ottima dose di protezione dei capillari e poi c’è anche la pro- vitamina A, o beta- carotene, che contribuis­ce a preservarc­i dall’insorgenza dei tumori, e poi le vitamine del gruppo B, cioè la B1, la B2, che proteggono le membrane delle cellule nervose, oltre a quelle di tutte le altre. Il fico d’India contiene numerosi semi di consistenz­a lignea, che possono disturbare le funzioni intestinal­i, la loro dura consistenz­a altera la flora batterica. Ai bambini bastano piccole dosi. di

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