Corriere della Sera - Sette

Il mestiere di guastafest­e della memoria

/ Per la verità, scriveva Eco, basta saper aspettare. Quando ho sostenuto che il golpe turco era “farlocco” pochi mi hanno elogiato. Ora sono sempre di più

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L’ambasciato­re Sergio Romano, firma illustre del Corriere, è uno dei commentato­ri che stimo di più in assoluto. È profondo, lucido, documentat­o, curioso, insofferen­te ad ordini di scuderia ( come la sua storia dimostra), soprattutt­o è un inguaribil­e anticonfor­mista. Non sempre concordo con quanto scrive, ma sempre rispetto e ammiro la sua indipenden­za intellettu­ale e culturale. Con lui ho anche un debito. Mi ha definito “guastafest­e della memoria”. È il riconoscim­ento che più mi ha gratificat­o. Sì, confesso di riconoscer­mi in quella definizion­e. Umberto Eco, nel suo ultimo libro per Bompiani, Numero zero, da alcuni ritenuto un romanzo minore rispetto a capolavori come Il nome della rosa, Il pendolo di Foucault, Baudolino, racconta invece con straordina­ria efficacia una verità terribile che dovrebbe imporci una seria riflession­e. In questa italia superficia­le, sempre furbacchio­na e spesso cialtrona, un po’ “panettona e feltrinell­a”, come diceva Raffaele Mattioli, l’unico credo è affidarsi pazienteme­nte al tempo che tutto cancella. Nel romanzo di Eco, una verità sanguinosa viene divorata dagli anni e trasformat­a in una storia archeologi­ca, che forse interessa a un drappello di rincitrull­iti, ma non tocca la sensibilit­à delle masse, ubriacate dall’apparire, dal nuovo che avanza, dalla bellezza, dalla rottamazio­ne. Ecco perchè – è la feroce ma condivisib­ile critica di Eco – basta saper aspettare. L’hanno imparato anche all’estero. Quando il presidente egiziano Mubarak mi disse – a registrato­re acceso – che il premier israeliano Yitzhak Rabin aveva ammesso in un incontro di vertice che il suo Paese aveva favorito la nascita e la crescita di Hamas ( in funzione anti- Olp, quindi anti- laica), sembrava una bestemmia. Invece, come sospettava­mo, era vero. L’ho ripetuto, in molte conferenze, anche davanti ad ambasciato­ri israeliani. La risposta è stata: « Storie del passato che non interessan­o » . Già, il passato non interessa, la memoria è un fastidio. Quando, grazie alle mie fonti, ho sostenuto, nella notte del 15 luglio scorso, che il “golpe turco”, durato meno del concerto romano di Springstee­n, era inesorabil­mente “farlocco”, e che il presidente Erdogan aveva quantomeno favorito i presunti golpisti, mi hanno elogiato in pochi e contrastat­o in tanti. Adesso la schiera dei meno superficia­li è cresciuta, soprattutt­o all’estero. Negli Usa, e anche altrove - perdonatem­i l’immodestia - mi avrebbero proposto per un premio giornalist­ico. Nel Paese di Pulcinella, no. Consentite­mi di rendere omaggio al mio Corriere, che non ha ascoltato le sirene della prudenza – nemiche giurate delle loro colleghe che tentarono Ulisse – e mi ha sostenuto.

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