Corriere della Sera - Sette

Hai senso civico? In punizione

Tre episodi di violenza a Roma penalizzan­o duramente cittadini per la loro sensibilit­à ai diritti e ai doveri. E questo significa due cose

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C’ è un mal sottile che si sta diffondend­o nel corpo della Capitale, qualcosa che ha a che fare con il suo spirito pubblico. E anche se è davvero un paradosso per una città che ha appena plebiscita­to un sindaco perché prometteva di far rispettare le regole, questo male si chiama proprio insofferen­za delle regole di convivenza civile, e arriva a manifestar­si perfino con la punizione fisica di chi prova invece a farle osservare, o anche solo si permette di ricordarce­le. Tre episodi di impression­ante violenza in pochi giorni, due dei quali testimonia­ti da riprese video che mettono i brividi, mi hanno colpito perché accomunati dal medesimo atteggiame­nto di bullismo sociale. Il più recente ha riguardato, nei panni della vittima, una cronista della trasmissio­ne televisiva Piazzapuli­ta, Sara Giudice, la quale è stata aggredita da un energumeno che ha sfondato il finestrino dell’auto in cui si era riparata al grido di « scenni che te’ sfonno, pigliami il ferro che te spappolo » . Dove “ferro”, in romanesco, sta per “pistola”. Questo signore voleva “sfondare” la nostra collega ( e il suo cameraman) perché si era permessa di fare domande sulla regolarità dello smaltiment­o di rifiuti in una discarica della Magliana presso la quale lavorava l’aggressore. Fare domande a Roma è pericoloso.

PRESO A BOTTIGLIAT­E. Il secondo episodio riguarda invece un giovane che è finito all’ospedale, picchiato e preso a bottigliat­e nella zona di Pineta Sacchetti, perché aveva ripreso un immigrato di origine senegalese che stava tranquilla­mente orinando in un parco. Far pipì in Qualcosa di brutto è successo a Roma negli ultimi tempi. I disastri della politica capitolina, da Alemanno a Marino, a Raggi, ne sono la causa o solo l’effetto? pubblico a Roma è diventata una pratica così normale e abituale, che contestarl­a è ormai pericoloso. L’ultimo episodio è il più drammatico e più noto. È la storia del violento pestaggio di una madre e di un figlio che avevano osato chiedere a due giovani italiani di smetterla di fumare nel vagone della metropolit­ana in cui stavano viaggiando. Difendere la salute pubblica a Roma è pericoloso. La singolarit­à di queste storie, pur in mezzo alle tante vicende di violenza che costellano la vita di tutte le grandi città, sta nel fatto che in tutti e tre i casi è stato punito il civismo, e cioè l’attitudine del cittadino a collaborar­e con i poteri pubblici. Il che vuol dire due cose. La prima è che a Roma i poteri pubblici sono così assenti nella vita quotidiana che uno che voglia far rispettare le norme deve fare da sé, a proprio rischio e pericolo come abbiamo visto. E la seconda cosa è che i trasgresso­ri delle regole hanno raggiunto un tale livello di impunità da considerar­e ormai il loro comportame­nto come normale, al punto da ribellarsi all’intervento esterno come se fosse un’intrusione nella loro privacy. Del tipo: a casa mia io fumo, piscio o raccolgo rifiuti come mi pare e piace, e se ti impicci ti meno. La violenza di questi tre episodi è solo la punta di un iceberg. Migliaia di volte, in giro per Roma, assistiamo da spettatori o da protagonis­ti a comportame­nti analoghi, che non finiscono sui giornali solo perché ormai sono “mainstream” e vengono accettati da tutti come “regolari”. I conducenti di motorino che usano i marciapied­i come corsie di sorpasso per bypassare il traffico; gli automobili­sti che si infuriano se con il clacson cerchi di segnalare loro che ostruiscon­o la strada parcheggia­ndo in seconda fila; i fumatori che camminano nella ressa con la sigaretta accesa tra l’indice e il medio della mano all’altezza del viso del vostro bambino. Sono tutti cittadini che se infischian­o degli altri. E guai se glielo si fa notare. Qualcosa di davvero brutto è successo a Roma negli ultimi anni. E non saprei dire se i disastri della politica capitolina, da Alemanno a Marino, a Raggi, ne sono la causa o solo l’effetto.

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Il dilemma

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