Quello che i formalisti non dicono
Dalle discussioni sembra che una “costituzione” sia solo un testo scritto, invece esistono anche le tradizioni costituzionali. Ma alcuni giuristi fingono di non saperlo
Di solito i giuristi rilanciano la palla nel campo dei politici e degli amministratori, attribuiscono a loro gli usi distorti del diritto. Ma questa linea difensiva è debole. Tenuto conto di quanto importante sia la formazione giuridica, quale peso abbia sempre avuto nella vita pubblica ( amministrazione e apparati giudiziari in primis), che gli educatori siano mondi di colpe non appare plausibile. Ci deve per forza essere qualcosa che non va anche nel tipo di sapere giuridico che viene trasmesso. Il “che cosa non va”, a giudizio di chi scrive, è il formalismo, inteso come la degenerazione di quel rispetto della forma che è invece l’essenza del buon uso del diritto. Per formalismo intendo una malattia che ha diverse manifestazioni visibili. La principale consiste in una distorta forma mentis per la quale la parola scritta su un pezzo di carta ( a questo si riduce, di solito, la legge per il formalista) è pensata come l’origine di tutte le cose, ciò che crea la realtà umana e sociale. Chi è affetto da questa patologia non pensa che fra la norma scritta e la realtà ci sia, necessariamente, un rapporto complesso e che la norma sia solo uno dei tantissimi fattori ( e non sempre uno dei più importanti) che contribuiscono a forgiare l’ambiente in cui tutti noi ci muoviamo. Il formalista crede che la realtà sia una diretta emanazione della norma. Pensa che se qualcosa non va, allora è colpa di norme sbagliate ( o lacunose) e che tutto quello che occorre è creare altre norme, le quali serviranno a cambiare nella direzione prescritta dalla norma stessa la realtà. L’impatto di questa ideologia ( perché di una ideologia si tratta) è stato così forte, così profondo, da spiegare la proliferazione incontrollata di leggi. « Ci vuole una legge » , oppure « dobbiamo cambiare la legge vigente » , sono le sole cose che sanno dire quelli che vogliono intervenire sulla realtà che li circonda. Da qui il selvaggio proliferare di norme scritte, un male a cui non abbiamo mai saputo porre rimedio. Tante leggi, moltiplicando i contenziosi, sono sicuramente una fonte di reddito per gli avvocati. Ma è l’unico vantaggio, se così si può chiamarlo. Al di là delle ( inevitabili) strumentalizzazioni, anche l’attuale dibattito sulla riforma costituzionale risente del formalismo imperante: dalla discussione sembra che una “costituzione” sia solo un testo scritto. Ci si dimentica che invece, in barba ai formalisti, la costituzione si compone sempre di due parti: il testo scritto e le tradizioni costituzionali. Queste ultime discendono da prassi che si consolidano nel tempo e che non erano state previste al momento della redazione del testo. Sono la conseguenza di quel complesso adeguamento reciproco fra legge scritta e rapporti sociali che il formalista non vede e non comprende. Discutere di un testo di riforma pensando che la “costituzione” sia solo lì, sia tutta lì, significa indulgere nel formalismo, in un uso sbagliato del diritto. I giuristi non fingano, per cortesia, di non avere responsabilità in tutto questo.